:: Morte Fanciullo Boine 13

                      

 

 

 

 Claudio Di Scalzo  

LA MORTE E IL FANCIULLO: VIAGGIO INVERNALE A MAGGIO.

(Giovanni Boine il 13 maggio 1917)

 

1

Rileggere, e neppure più capisco la mia grafia, frantumi di fogli strappati e minute manoscritte, nella mia agonia divento me-cerimoniere necroforo che lucida chiodi della futura bara; ma ascoltare ancora musica nelle mie orecchie spente, come lo Schubert de “La Morte e la fanciulla” lucida manopole della cassa per sollevarla all’altezza giusta della Morte; perché non sia insozzato più di quanto lo sia dalla tisi. La Morte capisce, oh se l’intende, questo momento. “La Morte e il fanciullo nel suo viaggio invernale a maggio” che recitiamo assieme non lo scorderà tanto facilmente. Letterato poco illustre morto con la Morte illustre. Mi garba, ancora s’esprime in pisano, sarò stato a Pisa o Lucca vivendo giorni di felicità? si chiede!, mi garba stare nella stessa condizione, anche lui morì giovane, di Schubert. Lui a trentun anni io a trenta. Campioni nel trapasso veloce.

"Pensa a un uomo la cui salute non potrà più ripristinarsi, e che per pura disperazione rende le cose peggiori invece che migliori. Pensa, intendo, a un uomo le cui più luminose speranze sono diventate nulla, per cui amore e amicizia sono diventate una tortura, e di cui l’entusiasmo per la bellezza sta velocemente sparendo; e chiediti se un uomo così non è davvero infelice!"

Questo scriveva Schubert, accosto al suo quartetto La Morte e la fanciulla che verrà pubblicato postumo;  avevo in mente anni fa di scrivere sulla sua tragica fine, non sapendo che l’avrei scritta col corpo in questo maggio che ne ricalca vicende. Compreso quanto Schubert musicò nel Viaggio Invernale-Winterreise, dove il protagonista, lui-me, s’allontana nel gelo dai luoghi amati e dal cuore dell’amata donna. Io ci aggiungo l’inverno, il gelo mortale, nel maggio a Porto Maurizio. S’aggiunge sempre qualcosa, se si è poeti puri, alle vicende eterne del dolore!

(Il Fanciullo Giovanni):

Via, ah, sparisci! / Vattene, barbaro scheletro! / Io sono ancora giovane ho solo trent’anni; vai via’!  / E non mi toccare.Vai nel fondo del mare che ho davanti casa. Torna più in là. Tanto più in là.

(La Morte in visita al poeta tisico Boine):

Dammi la tua mano, / bella creatura delicata! / Sono un’amica, / non vengo per punirti. / Su, coraggio! / Non sono cattiva. / Dolcemente dormirai fra le mie braccia! Ogni tua sofferenza cesserà. Ogni letteratura che scrivesti non ti angustierà più nel suo nulla nell’amore che ti negò nell’amicizia che ti si rivelò ostile nella perdita di tempo a scrivere!

Boine sconvolto, sofferente, nell’angoscia assoluta – anche Cristo la prova – sta davanti alla Morte. Cinque giorni, però, prima di morire in lui c’è una rassegnazione virile – in quale telefonata immaginaria una voce mi parla, giorni addietro, di affrontare virilmente ogni perdita? Non me lo ricordo però mi sembra di essere preparato all’incontro finale – e questa condizione la ricorda nel Quartetto in Re minore di Schubert in sommo grado. Paura e rassegnazione. Il quartetto s’apre con una minacciosa omoritmia e procedendo dolorosamente nei suoni termina in un “diminuendo" colorante ogni tonalità d’impianto.

La Morte che cerca la Fanciulla e me Fanciullo per prendere sottobraccio le sue vittime tremanti appare nel secondo movimento. Il lied a cui Schubert s’ispira viene reso teatrale e magnificamente calamitoso e caliginoso. Sulle braccia morbide della Fanciulla sulle mie macilente di tisico.

La Morte avanza indolente bonaria senza fretta, guarda la camera leziosamente biedermaier i cuscini le stoffe degli abiti pregiate, guarda lo scrittoio con resti di fogli (stracciati?) manoscritti , le medicine inutili, i flaconi che nemmeno una lucciola lì starebbe, riceve una luminescenza dalle persiane sul suo manto; e la Morte sa del Cipresso che Boine vorrebbe traversato da luce trasmittente sull’amore vicino alla sua futura tomba: l'ha pensato il poeta giorni addietro, sa tutto la Morte e di tutto non gli importa Nulla. L’incedere della Morte è sottolineato dal violoncello – Fanciulla e Fanciullo Boine spaventati – possono consolarsi con il suono del violino che frammenta e scurisce il passo della Morte e ravvampa i pallori delle prede. Fanciulla e Fanciullo Schubert e Fanciullo Boine: che bel terzetto sotto la tempesta che si scatena là fuori a testimoniare che non si scappa, che è inutile rallentare la presa nera. La fanciulla invita la Morte ad andarsene, Schubert sta muto mordendosi le labbra femminee, e Boine virile invita la morte  a buttassi a mare nel profondo e tornare tra qualche anno. Ma la sua, lo sa, è una battuta scema. Virile appunto. Da soldato che accetta la trincea-camera conquistata.  

A un certo punto la tempesta di accidenti e botti, si calma, la cupezza ora sta nel clima della stanza fintamente quieto perché Schubert, maestro anche morendo, dal sol minore d’impianto è passato al sol maggiore. Quest’ultimo per evocare la purezza del terzetto: Fanciulla, Schubert, Fanciullo Boine. Il sol minore riguarda la Morte che irrompe la sua secca e insuperabile voglia di catturare chi deve portar via.  

Poi improvvisamente la tempesta si placa, rimane in scena un’atmosfera cupa ma stranamente rassicurante, sottolineata dal cambio di modo dal sol minore d’impianto a sol maggiore. Ad una qualsiasi persona attaccata alla vita, quanto l’uomo di sua natura è, verrebbe da pensare che, in una scena con protagoniste la Morte e la Fanciulla, rappresentata musicalmente, il modo maggiore debba essere associato all’eleganza e alla purezza della Fanciulla, mentre il modo minore all’inquietante Morte che irrompe sulla scena.

Boine col residuo orecchio musicale che la malattia agonica concede sa perfettamente che violoncello e violino rappresentano sia la pazienza della morte che si rivolge a loro con parole, le stesse del lied o modificate dal calco di me-morente, si dice il poeta, sia l’imperiosità spazientita della Nera Signora. Schubert morente ebbe la forza di scrivere un capolavoro  e io ho soltanto ingoiato medicinali inutili, ricordi inutili, passioni inutili letterarie e amorose.

Boine "sente" il violoncello che prosegue imperterrito il suo tema ma avverte con l’altro orecchio il secondo violino e la viola che vanno per altri scarti sonori, rasentano nel soffitto la crepa dove vide uscire la salamandra e s’assestano sulla testiera del letto con ritmi sincopati tanto da far vibrare il legno su cui posa da giorni la schiena sudata in cerca d'una boccata d’aria.  La geometria della camera, simile alla bara senza orpelli, viene disegnata dal sol maggiore in modo spietatamente realistico; vede la Dama Nera allontanarsi con la Fanciulla rassegnata e Schubert a cui cade il cilindro e manco lo raccatta; e si dice che li seguirà presto prestissimo. Poi si butta il lenzuolo sul capo  e chiude il sipario immaginato musicale.  

 

 

                       

 

 

2

E come potrò rinunciare alla donna che amo s’io non sono che amore della donna che amo? S’io non ho altro corpo che il suo?... E non fummo la felice corrente di due acque confluite? – Ma l’Eterno fu un attimo

Quel che so propriamente, vicino a me stesso, fatto da me, non è che umano subito detto, e me l’ha insegnato una donna

Boine rilegge tossendo scosso da brividi fitti come bullette sulle spalle lacerate, quanto scrisse anni fa sulla sua idea d’amore in certi frammenti, e di tanti inediti sparsi nella camera e fra mani di amici, questi spera gli sopravvivano per sfatare la leggenda diffusasi di lui che in amore sia stato crudele e furibondo, a volte sciocco, altre volte autore d’atti senza rendersi conto di quanto compiva, senza prendersi le sue responsabilità nelle catastrofi sentimentali che m’hanno seguito fino a questa camera di morte. Non son qui bastonato cane di me stesso e se anche abbaio nessuno mi porge ciotola di consolazione con qualche parola-carezza! Vivo il Viaggio invernale, Winterreise, a maggio fanciullo con la Morte.

Giovanni Boine nel pomeriggio, dopo il mattino quando ha interpretato il Fanciullo con la Fanciulla di Schubert e la Morte, medita sul Viaggio Invernale sempre del tenero e infelice compositore. E soffre-dispera come nel mattino perché il suo viaggio va verso la fine.


 

 

Giovanni Boine legge i frantumi sull'amore mentre muore

cds

 

 

Erro disperato in questa camera, inverno nel maggio-mio a Porto Maurizio. Lascio il centro dove vissi, ch’è stato pure la mia letteratura, e non vi tornerò più, perché viaggio con accosto la Morte. Sono viandante frantumato da una vita sbagliata-malata. Il mondo, compreso in esso la donna amata, m'è ostile, esso funziona per inclusione ed esclusione tra simili: io non somiglio a nessuno nemmeno al cuore di questa figura che Schubert evoca tranquilla nella sua casa mentre il viaggiatore lascia il paese. Esiste per me viaggiatore invernale-a-maggio soltanto l’oggettività dell’ultimo viaggio verso la morte da giovane. Con accanto la dispersione di tutto quanto scrissi.

Muoio, e prima ancora m’ammalai, come ogni viaggiatore invernale, in qualsiasi stagione, perché non sono a mio agio, lo sono mai stato?, nella mia vita; perché non ho dimora sicura, la ebbi mai?, di muro! e nei sentimenti: c'è una casa d'amore che posso ricordare felice per me e per chi con me visse? Questo farfuglia Giovanni Boine. Grazie a Schubert alla tisi alla nausea verso il mestiere di letterato e di amante a lato in amori assurdi: senza costrutto neppure per avere parola di conforto nelle ore ultime.  

 

Qui venni da straniero,

da straniero vado via.

Qualche mazzo fiorito

Il maggio mi elargì.

La ragazza parlava d’amore,

la mamma anche di nozze;

ora il mondo è tanto cupo,

la strada sepolta nella neve.

Per il viaggio non posso scegliermi il tempo.

Devo trovare da me

La via fra questa tenebra.

 

(…)