:: Accio e Sara Cardellino: La Cena in Casa di Levi del Veronese con Silvestraccio e Sartitti a Venezia. Il Veronese si difende dinanzi all'Inquisizione.





 

SARA PER CLAUDIO, CARDELLINO PER ACCIO, SARTITTI PER SILVESTRACCIO

Ti leggo Accio. Sartitti ha convinto Silvestraccio a scrivere sul dipinto che una volta all’anno vado a vedere. Mi arricchisci e sei partito dal cartone animato per farmi contenta e allegra. So che la tua dedica a me sta nei richiami alla musica che compie il Veronese da solo nel suo studio. Intuisco ch’è pure il rapporto del tuo mestiere col mio.

Quando accadono questi intrecci si rivela cosa siamo, quanto il Destino abbia deciso, con l’Amore riflesso del sacro della musica e col moderno fumetto, per noi due.

Accio e Cardellino personaggi. Sara e Claudio nella vita reale. E parafrasando quanto afferma il Veronese nel suo studio, io nel mio studiolo musicale, dico: "Siamo una coppia che si ama. Nient'altro che una coppia che si ama, felice, dopo aver traversato le nostre Inquisizioni. Fuori di noi dentro di noi. Quanto il mio pittore dipinge e scrive per me quanto io suono e scrivo per lui è la nostra Cena dinanzi al mistero della vita e di Dio in essa. Siamo una coppia che si ama così".
 

Accio e Cardellino

LA CENA IN CASA DI LEVI DEL VERONESE CON SILVESTRACCIO E SARTITTI A VENEZIA

-La mia idea per noi due, mentre io lavoro su Telemann e Vivaldi e tu ozi sarebbe...

-Dio mi protegga...

-L’esclamazione rivela il tuo carattere e natura Accio... ma proseguo fidente. Siccome dobbiamo visitare le Gallerie dell’Accademia sarebbe “ganzo”, come dici nel tuo vernacolo vecchianese in terra di lingua veneta, tu andassi in missione di avanscoperta, ne scrivessi, e poi ci torniamo assieme e tu i dipinti me li “racconti”. Che ne dici?

-Dico che posso farlo a voce, appena tu hai sfinito il flauto traverso, andandoci subito assieme. E soprattutto farlo senza scrivere... Che ne dici?

-Ti rispondo che gradirei la mia proposta realizzata, che ti impegna in qualcosa di meno rapido che dipingere e commentare fotografie sopra Venezia Deserta con il metro francioso del paradosso; dai Accio, da questa investigazione in solitaria prima in coppia poi capirai tante cose della mia “veneziosità”; mettici un po’ di entusiasmo, almeno simile al mio di quando andiamo agli Uffizi e alle Gallerie di Palazzo Pitti. Saperti dinanzi ai dipinti mi dà la carica pure a studiare al meglio Telemann. Dai Accio sìì bravo...

-Va beh... ci vo. Ma non aspettarti, Cardellino, miracoli d’interpretazione. Sono ferrato soprattutto sull’ottocento e novecento. Ma un trafiletto lo scrivo.

-Più di un trafiletto. Non fare il furbo Accio! Cosa ci facevano nel cascinale tutti quei libri sulla pittura veneziana? Di nascosto ti stai preparando da chissà quanto. Ti conosco molto più di quanto tu ammetta. So le tue mosse. Per la pittura veneziana ti stai interessando da tempo esattamente come hai fatto con la musica e i compositori. Vuoi stupirmi. Adesso è il momento di farlo.

-La furbina alata a tre cotte, SARTITTI vuol dire al suo SILVESTRACCIO il primo dipinto da illustrare?, che poi in seguito improvviso da me.

-"La Cena in casa Levi", che da un po’ s’intestardiscono a chiamarlo Convito, di Paolo Caliari detto Veronese.

-Vado. Chissà non ci trovi qualche bocconcino per me carnivoro visto che non posso mangiare te Sartitti!!... dannazione della mia vita felina!

(CONTINUA...)

 

 


Veronese: Convito in Casa Levi - Gallerie dell'Accademi di Venezia 



 

Accio

 IL VERONESE DIFENDE DINANZI ALL’INQUISIZIONE E NEL SUO STUDIO LA CENA IN CASA DI LEVI

L’inquisitore sa il suo mestiere. Sa stringere il reo lungo le corde della sua logica. Veronese invece sa soltanto allargarsi. Nella difesa della sua pittura. L’inquisitore, sembra non sudi, gelido com’è neppure nel caldo giorno veneziano del 13 luglio 1573, chiede cosa significhino i bevitori armati alla tedesca, il buffone col pappagallo, il servitore che sgoccia sangue dal naso ed elenca altre stramberie poco consone al Sacro Vangelo nella Cena posta nel refettorio dei frati di San Zanipolo. E gli Apostoli? Possibile vengano rappresentati mentre scempiano il capretto e si stuzzicano i denti con la forchetta? Non c’è rispetto alcuno per le cose sacre se non peggio!

Il Veronese ha carattere pugnace. Si dice ch’è meglio starsene largo dentro il perimetro del suo mestiere. Difendere le mura della sua pittura ove dentro è come il contadino nel campo coltivato ad orto. Così risponde: Ho pensato che in questa Casa Levi si trovassero Cristo con li suoi Apostoli. Luogo adatto e ampio e graditissimo per architettura e costì raggruppare movenze. Ma avanzandomi spacio l’ò adornato di figure secondo la mia invenzione.

Qui avrebbe dovuto fermarsi, umilmente. Capo chino. Però il pittore è fiero e avverte intaccato in ogni angolo il suo mestiere. Decide di difenderlo coinvolgendo il Maestro sommo Michelangelo.

Anco Michelangelo nella Cappella Sistina nel Giudizio Universali riunisce corpi, peraltro nudi - e accenna sorrisetto che non sfugge all’inquisitore - attorno ai simboli della Bibbia. La risposta del giudice in faccende sacre è aspra: severissima. Mette i brividi. Guarda con occhi sgranati fiammanti controllata ira il pittore. E dice: in Michelangelo non c’è pittura, anco minima, nei gesti, che non sia Spirito. Non appaiono briachi cani armi, né altre buffonerie. In questa cena l’Eucarestia s’eleva tra gli schiamazzi!

I verbali della Santa Inquisizione contro Paolo Caliari detto il Veronese rivelano come finì il processo. Le modifiche imposte e accettate dal Veronese che cercò di limitarle il più possibile. Poi se da allora nessun luogo fastoso ospitò, ospita, più Cene con Cristo questo è problema d’altri pittori meno indipendenti e savi col pennello di lui, di me.

Tra le tele imbastite Veronese, calmatosi, tiene monologo. Recita, in lungo in largo, quanto avrebbe dovuto dire. E non disse con la logica perfetta di chi è maestro del colore e sa accostarli e pure inventarli come il verde. Le tele vuote e una modella rannicchiata furono testimoni della sua fluente difesa.

La mia non è un’arte di pensiero, talché poco mi si può rimproverare se non sono all’altezza di riflessioni teologiche; ordunque non può nuocere alla fede nostra. La mia è arte gioiosa di vita e di verità e cosi operando loda altamente Dio nella luce nel colore nella bellezza nuova che invento, direi musicale, che per primo tra i pittori viventi trovo.

Tutto nella mia pittura par gioco e capriccio e invece risponde alle leggi dell’armonia. Donatici da Dio.

Ai rimproveri sull’uso del colore posso rispondere che sono costretto a vestir di giallo i servitori perché sfavillino qua e là nella Cena. Eppoi dove l’attenzione languirebbe nel quadro devo mettere figura tipica per tenere adatta la tensione di quanto rivelo un po’ come fa il musicista con vari strumenti per ricavarne Concerto grosso.

Sono soprattutto un pittore, nient’altro che un pittore.