:: Se Valeria Raimondi dedica "Chiedo scusa se parlo di Maria" di Giorgio Gaber ad Accio e Sara Cardellino
SE VALERIA RAIMONDI DEDICA
"CHIEDO SCUSA SE PARLO DI MARIA" DI GIORGIO GABER
AD ACCIO E SARA CARDELLINO
Accio e Cardellino nel dicembre 2020
AD ACCIO E SARA CARDELLINO.
DI GIORGIO GABER
SE VALERIA RAIMONDI DEDICA: "CHIEDO SCUSA SE PARLO DI MARIA"
Che dono ascoltare questa canzone cara compagna Valeria Raimondi. Avevo dimenticato questa voce di Gaber che ascoltai nei primi anni settanta. E già allora cristiano eretico, ed era difficile esserlo anche se nella storia c’erano stati cristiani in rivoluzione fin dai tempi della Riforma e marxisti filosofi come Ernst Bloch ed esistenzialisti come Gabriel Marcel, constatavo ch'era un filo che si voleva recidere. Non capendo che la Rivoluzione aveva bisogno anche di chi credeva in Maria e nel racconto evangelico. Di Cristo che caccia i mercanti dal tempio. Gaber era un uomo coraggioso e con questo album e con quelli dedicati al terrorismo con canzoni scomode pure sul "caso Moro". Poi ha scelto di essere ancora scomodo parlando dei limiti della sinistra senza più orizzonte di un possibile socialismo. Erano gli anni del Berlusconismo. È stato pure strumentalizzato.
Ma vengo a quanto più conta... la tua dedica. Che rimanda anche a una data che tengo celata, mia, di nascita. A questo proposito voglio raccontarti e perfezionare un episodio che raccontai, per Feltrinelli, in “Vecchiano un paese. Lettere a Antonio Tabucchi” nel 1997.
Quando venni ar mondo di sette mesi per l’Immaolata, ir mi’ babbo, Libertario detto Lalo, ex partigiano e trotskijsta, disse: “Sembra un conigliolo spellato, ma se non mòre e diventa ‘omunista ir fisio gli si rafforzerà e anco i pensieri”. Nada, mi-mà, sarta che m’aveva scorciato l’arìvo, sorrise speranzosa, con le su’ puppe da atòmia Hayworth vecchianese, e rispose: “col mi’ latte ce la farà!”
Puppai puppai e sempre da un ‘apezzolo solo. L’altro non andava. Mi pa' mi ma’ mi battezzarono ner destino che m’avrebbe riguardato. Ora a breve, da Venezia, torno ner paese. A fa’ ir Natale e ir primo dell’anno con la n Nada di 92 anni malandata ner còre e da’ guai dell’età. Perché à bisogno di me. E lei in una 'asa di ‘ura nun ci andrà mai. Ci penso io. Anche a lavalla. A Lalo morto nel 1995 porterò per Natale un garofano rosso. E lo saluterò a pugno chiuso e reciterò il Padre Nostro. Tornerà ne’ racconti dicembrini della su’ vedova. Che me ne rivela sempre di nòvi.
-Tu pa’ disse ch’eri un ‘onigliolo spellato, mi-mà Messinella aggiunse che potevi stà in una scatola di scarpe. Ma poi ce l’ài fatta a vive. Avea ragione tu pa’, ir ‘Omunismo t’à protetto ma di più Maria. Seondo me. Perché sei nato ner su giorno immaolato. Due mesi prima. E poi da bimbetto t’avrebbero chiamato Accio perché eri dispettoso e tremendo. Ci soffrivo. Te l’ò raccontato come ci soffrii la prima vorta che seppe ir tu soprannome? Poi ò preso a chiamattici pur’io e tu pa’ e ‘osì abbiamo ditto che era un onore avé ir soprannome da ‘attivo quando tutti volevino apparì bòni. Perché servivano inginocchiati e farisei o Stalin o ir Papa.
Ecco ‘osa ò raccontato alla musicista Sara che ricordi nella dedica, cara Valeria, che poi è quanto ancora risentirò con varianti dalla Nada. Ner su’ racconto infinito per ir su figliolo, ir su bimbo che ora di anni ne ha 68 o 67 se-se ne toglie uno per la storia dei sette mesi. Di nove sarei nato ner 1953.
Tu, Valeria, sei la più adatta a intende de’ miei dieci amici cosa voglio ditti. Perché tu ma’ era sarta. Perché t’à lasciato dopo tanto soffrì. E tu l’ài accudita fino in fondo. Perché sei una compagna coi fatti non con le teorie. Perché ài ir figliolo unio. Perché penso che pure sappia dell’amore prende quello che ir destino ti porge anco nelle distanze nel tempo e nello spazio. ‘Ome succede a me.
Ti saluto a pugno chiuso compagna infermiera e valente Valeria nella poesia. E questo pugno dice tutto e meglio di quanto leggi. Pubbrierò esto sull’Olandese Volante perché il dono sia affidato al Web con quanto signifia per me per Sara Cardellino ricevilo.