:: Accio: La mia giornata abituale con Nada con Lalo con Cardellino. Con ricordi d'infanzia e di Comunismo. |
Collage ricavato dalle buste dove mi-mà per ir mi’ ‘ompreanno "La nave della Nada e di Accio"
Mi arzo presto assai. Arbeggia. Perché vaggo a letto presto. Doppo avé messo in branda mi-mà. E avella rassiurata che sono nella ‘amera accanto ar piano-tèra. Inutile ‘iude ir ‘ancello che fece Lalo in cima ar vialetto perché è a barre orizzontali adatto a scavarcallo ando lui tornava da gioà a ‘arte e io da Viareggio a ballà a notte fonda. Mamma nessun ladro verrà sull’aia o in ‘asa perché soldi nun ce ne sono e ar primo piano nessuno ruba libri o tele che nun son sur mercato. E se entrassino in ‘asa so ‘ome ributtalli fòri perché nun mi chiamino Accio per ‘aso. Mi-mà, Nada, che va per i 93 sorride. Probabile gli stessi discorsi li facesse mi-pà ir su’ indimentiabile marito morto dar ’95. Che ogni giorno rammenta. Le poetesse che scrivono subrime non son pari alla Nada nell’amore che nun scade ‘ome il latte. Io la ‘opio e c’imparo. Prima di iude l’occhi ner sonno saluto ir mi’ ‘Ardellino. La su’ voce nell’iphonne gliè la musìa adatta a dormì non accidentato. E devo danni forza perché à l’ali abbassate e ir becco disappetente. Poi ner pensiero do la bonanotte anco a mi-pà. La fotografia sua con me piccino che mi tien per mano sta sur ‘omodino. Mi butto ir lenzolo sur ‘apo e chiucco. Ner buiore che si mescola al lucinìo sulla torre ghibellina ‘ampanaria di Sant’Alessandro fo ‘olazione abbondante. Pane abbrustolito miele frutta e dorci facili ‘otti ar forno der ‘ascinale ‘ome ir pane le foacce o le pizze per mezzogiorno. Lievito e farina bianca o integrale: è la ‘osa più semprice der mondo. Poi vaggo sull’aia a buttà le briciole di pane per l’uccelli. Piccioni tortore merli passerotti pettirossi. E vo nelle soffitte, all’abbaino verso ir mare der tetto, a portà quarche resto di ‘arne all’Allocco. Che nun mi sembra gran ‘acciatore notturno.
Ando mi-mà si sveglia sto attento nun inciampoli e le servo la ‘olazione ‘ome garba a lei. Mentre mangia vo in ‘amera a vedé se tutto è rimasto pulito. Sennò lenzoli e mutande se son son sporcate le lavo. A mano ‘on la ‘andeggina perché nun è roba da lavatrice. E le stendo. Se trovo panni ‘osì sudici poi a metà mattinata la lavo nella vasca. Ma non i ‘apelli. Elli sono ir sabato e le unghie una vorta ar mese. Se la vicina di ‘asa le dà un’occhiata vo ar Campo alla Barra verso il Lago Puccini con il piccolo trattore che m’ànno prestato. Distante un km. Ello duve ò la ‘asetta-baracca piccina di legno duve vo come Jesse Accio James ando c’è Lei come Zerelda Zee Cardellino e esto pezzo di tèra di un ettaro diventa la Contea di Clay-Missouri Val di Serchio. In esto mese, marzo chi à gamba bòna vada scalzo, metto in pratia anto so d’agriultura. C’è da seminà ar ‘operto: Basilico, Cetrioli, Zucchine, Peperoni, Pomodori, Melanzane, Cavolo, Carciofi, Sedano, Prezzemolo. E semina in piena tèra: Barbabietola, Carote, Fagioli, Fagiolini, Cipolle, Rape, Lattuga, Patate, Cavolo cappuccio, Porro, Bietola, Piselli, Rucola. Mette in dimora ar ‘operto: Anguria. Devo raccoglie asparagi, ravanelli. E devo potà pesco susino albicocco. E l’ULIVO duve sotto morì Lalo il 12 giugno 1995. Che racconto in “Vecchiano, un paese. Lettera a Antonio Tabucchi”. Feltrinelli 1997. Che Antonio Tabucchi con disegni di Davide Benati racconta nel poema in prosa in “Campane del mio villaggio”. Quando non vo alla tèra. Vo a Lucca a fa ir bancarellista episodico. Ma ora in arancione nun si pole fallo. Vo ar mare, ch’è ner comune, a pescà orate branzini saraghi. Con la barca col giacchio. A Bocca di Serchio. Col Maghino e altri amici der paese. In estate e ando nun c’era la pandemia veniva anco Sara Chan Butterfly. E la compagnia anarcoide de’ mi’ amici pescatori eran ‘ontenti di vedella e sentillà sonà ir flauto traverso se ne aveva voglia. Me la mangiavino con l’occhi. E seondo loro i pesci venivano più volentieri nella rete. A mi-mà ando torno si mangia ir pescio pescato e se non c’è, come artre vorte, ‘ucino roba bòna. Che imaparai stando piccino in ‘ucina a girà ir ragù ando lei ‘uciva. Ricette toscane. Da leccassi i baffi. Zuppa d’arselle. Sur voabolario le chiamino Telline. Cacciucco. Ribollita. Bavettine all’acciughe. Pappa al pomodoro. Panzanella. E siccome gliè vecchia anche parecchie minestre. Di pesce. Di fagioli. Insomma ci trattiamo col gusto adatto. Voglio stia bene più che posso. “Chi more prima se ne va duve è destinato”, mi disse Lalo, “ir figliolo, tu Accio, curerai chi rimane”. È rimasta mi-mà. Sono andato in pensione doppo 37 anni di servizio. 42 anni con i 4 di università e l’anno di militare nel Battaglione Intervento Terremoto in Irpinia. Fortuna. Il 2020 ò potuto assistila e ‘osì ora col Covidde in giro.
Con mi-mà ci ò letiato tanto. E m’à reso a vorte la vita compriata e dura. Perché la mi stirpe sembra uscita da un romanzo di Fucini Pratesi Tozzi. E non c’è stato subrime poetio. Casomai umorismo alla Collodi alla Giusti. Però la NADA non andrà mai in una ‘asa di riposo o affidata a una badante filippina. Ci sono io. Ir su figliolo. Che rispetta ir giuramento fatto a Lalo. Questo è anco ir mi’ meglio ‘omunismo e cristianesimo. Invecchiamo insieme. La Nada m’à lavato vestito dato da mangià da bambino. Ora che torna lei bambina svanendo un po’ con la testa la lavo vesto nutro io. E l’ascolto nelle sue fantasie verità. E conosco quanto non sapevo della sua vita con Lalo, anche tenebrosa; e di sofferenze oltre che di gioie. E di me dal su’ punto di vista di madre anche possessiva. Di quando mi diceva esasperata: “Meglio perditi che trovatti”. Ora mi dice: “Gliè una fortuna avetti ‘ome figliolo. Ti chiamino Accio ma se’ meglio di tanti che si son ditti Bòni e santi”. E mi racconta di ando all’elementari mi diedino l’urtimo posto al concorso della Banca Toscana sulla riflessione legata alla favola della “Formica previdente della cicala fannullona”. Scrissi che mi garbava la Cicala e perché. Ir tema lo ‘onserva la Nada lo sa a memoria. Ci piansi a vedetti urtimo. Ma ir tu’ tema era ir meglio. Poi solo te sei uno scrittore anco se nun pubbrii anto scrivi ‘ome mi dice Sara. La veneziana se n’intende. Ando rammenta il tema sulla Ciala e la formìa un po’ mi ‘ommovo. Perché ci soffrii a bestia. E so che fui ‘omunista anco da monello. Che mi mà grazie al Cardellino à trovato un’altra donna che pensa ‘ome lei che nun ero poi ‘osì scadente a scrive. Che non lo sono manco ora. So che due donne mi amano e rispettano per questo. Sono felice a pensacci. Esta è la mi’ giornata proletaria. Anco ‘oi riordi belli. E brutti. Che siino elli della giuria che m’umiliò all’elementari o chi mi scrisse ch’èro pòo ‘omunista. Sur webbe ci sto pòino. Ir tempo di mette quarcosa sul socialle. 16 amii-amie. Fo alla sverta a leggili. Ir tempo di scioglie quarche vela all’Olandese Volante. In rada. Poi se ò tempo e voglia, ma ce n’ò parecchia, disegno e scrivo per il ‘Ardellino. E mi butto nell’impresa di sistemà l’ALBO COMPLETO DELLE AVVENTURE. Ch’è lavoro promesso di fa’ alla veneziana ma l’ò ditto ch’è ome sistemà un terreno vastissimo ettari e ettari anco inselvatiito tutto a forza di braccia e vanga e falce... e ci voranno anni... e magari mòio prima. Al che m’à risposto: “... in questo caso lo proseguo io. Sfaticato. Vivrai cento anni per mia sfortuna. E ancora gli infissi del cascinale concerteranno ogni vento!”
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