:: Karoline Knabberchen: Di Grazia, il pesce appeso all'amo mi cerca. 1980


"Karolina Pesciolina d'Engadina" - Foto Fabio Nardi. 1980

Karoline Knabberchen
(Guarda Engadina Svizzera 10 aprile 1959
20 agosto 1984 Isola di Austvågøy Lofoten Norvegia)

 


Karoline Knabberchen

DI GRAZIA, IL PESCE APPESO ALL'AMO MI CERCA






 

Di grazia, il pesce appeso all'amo mi cerca, con occhi ingordi grondanti apprensione, cupo biasimo nel cupo rintano dell'acqua.

 


 


Di grazia, diceva. Era rivolto allo scandalo cresciuto con l'indisciplinata natura che ci aveva entrambi catturati. Di grazia. A noi la cattività non giova, come avviene invece per altre specie; per noi si allungano bianchi fili di nylon, si intessono ricami di morte, maglie strettissime tra corpo e anima, che infilarcisi dentro vuol dire strozzarsi.

Tu cerchi un'estetica, di grazia, anche in questa morte? Le vuoi donare un'intera letteratura, adornarla di fresche parole per tutti i compleanni che festeggerà da sola? Far sì che rimanga un segno, evoluzione costante in ciò ch'è irrimediabilmente terminato?

Di grazia, di grazia... gli svenimenti non son più di moda: è l'epoca della TV nel tempio, delle droghe sintetiche danzanti, dell'amore libero e della dispersione di fede. L'era degli automi di carta, del romanticismo allungato contro lo sterile senso del tempo. Dio parla della storia, e la storia parla dell'uomo. Come pensi tu di nuotare a ritroso? Tutto questo ti suggerisce il mio labbro bucato, il freddo ricciolo d'acciaio nascosto dietro il ghiotto boccone. Questo ti dicono i sensi, catturati anch'essi e liberati dal silenzioso schianto d'acqua.

Tu mia forza, di grazia. Vi fu un tempo in cui il mio monogramma incuteva paura, simile a questo tempo, la stessa aura di morte tatuata nell'alternanza delle stagioni; la stessa gioia prematura per piccole, tenui felicità. Scappavano via come aluzze di farfalla, bastava il soffio dei fatti umani, la stazza cruda dei solidi fatti, per farle involare. Vi fu un tempo in cui il mio monogramma veniva tracciato con il polpastrello dentro la sabbia, in cui bastava l'effimero segno, in ciò che finiva, per evocare l'eterno oltre la morte.

Voi essere tu il mio blasone, creatura nata nei borghi del Protestantesimo? Te scelgo, mentre ancora crocifiggono il giusto, le spine conficcate nel Verbo, nel simbolo divenuto corpo dentro la morte. Di grazia, vuoi tu? Pronuncerai il Sì che fu delle mie spose, il Sì della tormentosa rinuncia al mondo, il Sì pietrificato nell'atto della preghiera?