:: Fabio Nardi: Le Tre Kappa: Kierkegaard Karoline Knabberchen. Con una lettera e dialogo di Sara Cardellino - Tre foglie per pagina con Gabriel Marcel. Con manoscritti di KK |
Con una lettera di Sara Cardellino Per il trentaquattresimo della morte all’isola Austvågøy delle Lofoten di Karoline Knabberchen, suicida (Guarda-Engadina 17 IV 1959 – 1984 20 agosto Lofoten-Norvegia), pubblico dal suo quaderno giallo, in mia custodia salvatosi dalla distruzione dei suoi scritti imposta dalla madre Gerda Zweifel, tre frammenti dalle pagine che indicò col titolo “Spille di filosofia”. Avendone ispirazione da come mia madre, Elvira Spinelli, teneva la carta e poi la stoffa degli abiti che stava cucendo e tagliando sul tavolo. I titoli sono quelli che le suggerii. "Titolista monelleria vista", mi scherzava Karoline. Il titolo, trovato in questo agosto 2018, rimanda alle iniziali della mia fidanzata, e il cognome che tradotto inventivamente può essere saltellante mi spinse a darle nomignolo di “Ranocchietta” anche se non aveva certo bisogno del mio bacio per diventare bellissima, lo era già di suo; e al cognome del filosofo danese Kierkegaard sul quale appuntò alcune spille che le fecero sanguinare il cuore engadinese. Ecco le tre Kappa. Quando Karoline iniziò a scrivere questo quaderno giallo, a Pisa, frequentava la facoltà di filosofia. Fu lei a farmi conoscere i filosofi idealisti Fichte e l’ultimo Schelling; e Kierkegaard con gli altri filosofi detti “esistenzialisti”. A me che leggevo e studiavo soprattutto Marx ed Hegel. Lo spessore filosofico, della mia Ranocchietta filosofa, è subito intuibile anche al lettore neofita. Chi scrive ha venti anni. Karoline Knabberchen mi diceva che scrivere di filosofia, in maniera accettabile, è arduo. Più di ogni altra impresa in scrittura. Paragonabile alla scrittura in musica. Si può ricavarne canzonette oppure sonate e sinfonie. “Le mie sono canzonette Fabio. O, se vuoi, abiti, tenuti insieme da spille, non ancora cuciti”. Invece secondo me erano sonate e sinfonie abbozzate. Che furono interrotte dal destino. Mi commuovo a scriverlo. Perché ancora, e sarà per sempre, amo e amerò questa donna. La Ranocchietta di Guarda, scherzosa, mi diceva, che i filosofi di cui si parla o, ancor più, se di essi si scrive bisogna leggerli e intenderli, nella loro lingua. I filosofi ricordati li leggeva in tedesco. Kierkegaard tradotto pure in tedesco. E che per scriverne decentemente, dunque traduco, comporre sonate o sinfonie, bisogna studiare i filosofi scelti per una vita intera. Che distanza, dall’oggi, dove esimi vanesi e vanesie, s’improvvisano, con una superficialità ridicola, conoscitori e scriventi in filosofia: letti tradotti ed estratti dalla manualistica. Per poi magari darne lucore spento, on line, sui siti d’appartenenza su Facebook!
Karoline Knabberchen, negli anni pisani, seguiva le lezioni di valentissimi docenti e filosofi, autori di libri fondamentali come Remo Bodei e Giorgio Colli e Aldo Gargani. La mia fidanzata però rifiutava ogni “imposta ortopedia” sulla sua riflessione da parte dei saccenti divulgatori in cerca di vassallaggi da imporre con la scusa della cultura. Che spesso contemplava l’obolo di una concessa alcova. Di ciò era nauseata. Considerando insieme indecenti e ridicole le vite letterarie praticate dai colti frustrati di terza fila dietro ai veri maestri che, Karoline lo scoperse, erano impegnati sì a scrivere i loro libri ma non certo a farne giostra e superficiale mostra ogni giorno, vivendo, invece, la semplice vita di tutti. D’altissimo segno etico e libertario, fu, come KK rispose al cattedratico “pompato” che intendeva inserirla nella sua rivista universitaria e farle vivere esistenza da colta intellettuale in una sorta di iperbolica setta filosofante e poeticante, pure segno del suo umorismo idealista. “Si iscriva lei al nostro ciclostilato, Il foglio di Lalo", fu la sua risposta. (clikka: ESCLUSIVITÀ). Neppure se le avessero offerto la direzione del New York Times, Karoline Knabberchen, avrebbe lasciato l’avventura comune che aveva con me e che reggeva il nostro amore. Lo ricordo in questo agosto quando ovunque c’è gente addetta alla poesia on line e presso editori da incubo che vende sé stessa che ripudia il declamato in passato anarchismo che vuole agguantare gloria culturale seppur essa sia un piatto di lenticchie. Merce inutile che mercifica chi la propone chi la subisce. Nell'umiliazione. Karoline Knabberchen apparteneva, e appartiene, a un altro sistema di valori, eterni, di cristianesimo di comunismo. "Questa è Religione, questo è Comunismo" scriveva in calce a certi nostri scritti firmati assieme. Con riconoscenza che non scemerà, in attesa del nostro ancora incontro, ricordo come per lei fosse utile, filosoficamente, che la portassi in barca a Marina di Vecchiano sui Lungarni a sorbire gelati, con me che lo volevo sempre più grosso, e nei cimiteri d’Engadina o a Sils Maria varcando ponticelli. Abbiamo girato assieme l’Europa da Amsterdam a Berlino a Copenaghen… ma quando rammentava le Mura di Lucca e i boschi di Ardez capivo che bisognava tornare a casa. Con ogni amore, Ranocchietta mia, dal tuo Fabio Nardi. Tieni aperta la porta lì dove sei… che presto arrivo!
KK ad Elsinore Castle LETTERINA DI SARA CARDELLINO A FABIO NARDI (Venezia 20 agosto 2018) - Caro Fabio Nardi, in settembre io e Claudio detto Accio, andremo a Copenaghen alla Grundtvigs kirke, dove Karoline Knabberchen sostò, e poi raggiungeremo le Lofoten, l’isola Austvågøy, per deporre sulle onde il fiore della nostra devozione. Alla misterica chiesa Claudio è tornato nel 2011. Dove Karoline scelse d’affidarsi al gorgo mai ne ha avuto la forza. Che abbia scelto di farlo con me, rivelandomi ogni segreto del suo rapporto con Karoline Knabberchen, per la prima volta interamente nella sua vita, oltre quanto appare negli scritti che avete in comune, vero e proprio Canzoniere in tanti libri, sciogliendo davanti alla mia commozione i nodi del rapporto con te personaggio e lui autore, è dono altissimo di bene di amore che mi lega a questa vicenda - dopo che intera non la capii anni fa - in modo assoluto. Anche come custode di tanta bellezza scritta disegnata fotografata. Che è giusto non abbia pubblicazione e mostra finché l’autore la madre il padre di KK sono in vita. Poi, dopo 50 anni, decideranno gli eredi.
Confido Fabio tu sia con noi due. Di questo viaggio niente trapelerà in rete. "Le tre K" concludono ogni pubblicazione sull'Olandese Volante - TUA Sara Cardellino
KIERKEGAARD E KAROLINE KNABBERCHEN
1 QUANTO È ARDENTE, QUANTO È INDIFFERENTE In Kierkegaard il demoniaco, come non concordare con Thomas Mann che vi riconosceva il senso dell’epoca?, è la condizione per cui la scelta si risolve nell'indifferenza: demoniaco, ossia plurale e in sé difforme, è il termine con cui il danese esprime la posizione di colui al quale risulta al fine indifferente ogni orientamento, ogni direzione, ogni condotta perché, in definitiva, ciascuna di esse è uguale a niente. E poiché ogni creazione è priva di valore decisivo (poiché essa è una possibilità equivalente a tutte le altre), il creatore passa dall'una all'altra di queste creazioni a seconda del proprio capriccio. Buono è il capriccio estetico. Il flusso del morsoNel buio consegno il mio respiro alla seta della sottoveste. Ogni pagina del libro sfogliata fu interrotta in un punto preciso. La sua comprensione intendo. Anche per il demoniaco sarà così? Esso sembra quasi la cura adatta delle moderne angosce. Il desiderio di volontaria cecità quando ogni scelta vale l’altra. Non possiedo la verità dell’amore: sono come la cagna che conosce la sua coda soltanto mordendola.
2 LA MIRA DEL DANESE Kierkegaard chiama "disperazione" il mancare se stessi. Quando uno manca sé stesso manca di tutte le possibilità contenute nella necessità. Il filosofo danese chiama la disperazione "malattia mortale". Solo una vera consapevolezza nei confronti di questa malattia è l'autentico punto di partenza per una possibile guarigione. Per Kierkegaard, però, solo l'eterno è la condizione del singolo: se non ci fosse l'eterno (la necessità) non ci sarebbe nemmeno l'io (il singolo), ovvero: nessuna possibile consapevolezza. Ora, se provassimo a pensare l'io non come un'essenza conquistabile e da conquistare, ma come un compito eterno, unendo Nietzsche e Kierkegaard, baldanzosa scommessa saltellante?, allora l'eterno diventerebbe una pura virtualità; all'aggettivo "eterno" potremmo sostituire l'aggettivo "interminabile" e l'io si trasformerebbe in un compito interminabile. Ma se l'io è un compito interminabile non c'è nemmeno una vera e propria guarigione dalla malattia mortale, tutt'al più si potrà parlare di una interminabile convalescenza. Ciò consentirebbe di riguardare la disperazione come compito e di abbandonare il principio soterico della consapevolezza come principio della guarigione autentica. In questo passaggio dall'eterno all'interminabile: non esisterà mai il pieno possesso di sé, bensì soltanto il movimento verso se stessi. Posso appuntare così questa spilla filosofica: il movimento verso sé stessi, proprietà del singolo - mi pungo pure con Stirner? - il suo compito, il suo destino, la sua disperazione, la sua malattia mortale e la sua interminabile guarigione, è il presupposto essenziale di ogni possibile discorso sociale: il singolo viene prima della comunità, o, per essere più precisi, la comunità esiste solo per il singolo, per il suo problematico cammino verso sé stesso.
3 RESPIRAMENTO Il respiro che accompagna la ricerca del corpo e della mente verso noi stessi che tramatura compie nelle ore? Del corpo ho il sudore, il fremito, il calore, il piacere, lo sgomento della pelle d’oca: della mente ho traccia di foglietti tenuti con spille come abiti tagliati e non ancora cuciti, senza firma, senza paternità… ma del respiro? Nulla resta del respiro. Il respiro è il sigillo dell’eternità. Il fiato si muove tra la polvere dello spazio e della luce come la mia canzone filosofica in cerca della banda dell'io. Se il mio egoismo è corteccia che aspetta lama incisoria, Kierkegaard è polvere che aspetta il soffio che la sollevi. Consolarsi coi nomi dei filosofi, pisciare un impossibile annusamento da parte loro se la minzione dei miei pensieri sta canto il basalto delle loro statue. Volti soprattutto. Atto sfatto nel gattoIl gatto selvatico diventa la guida per passeggiata nel crepuscolo. Nella corteccia della quercia s’insuffla la mia svagante ombra. Testimone e deposta interprete di me stessa. Il limite della malattia è anche il limite dell’amore o della lingua con cui l’amore invento. Non capendoti non mi capisco.
clikka
APPUNTI SULL’ESISTENZIALISMO DI MARCEL Dice un personaggio di un dramma di Gabriel Marcel: “Amare significa dirgli Tu non moririrai!” Karoline Knabberchen – Guarda 18 aprile 1983
Accio e Sara Cardellino - È la pagina bianca, Sara, accanto alla grafia di Karoline con parole di Gabriel Marcel, che mi consegna uno struggimento doloroso e cristiano immenso. Eppure vorrei, come un piccolo Requiem intimo, nostro, di noi tre, aggiungere qualcosa in questa data del 20 agosto. Ma non so cosa. Né altre parole né disegni né fotografia. Allora cosa può stare accanto all’amore che, nella sua vetta di estrema dedizione sopra al gorgo delle Lofoten passati trentaquattro anni dal suo inghiottimento, ancora dice: Tu non morirai perché ti amo e sarà per sempre?!? - Se posso, Accio, Claudio, ti suggerisco di aggiungere a questa pagina, alla sua grafia di giovane donna di ventiquattro anni, un ago di pino una foglia di noce una di magnolia… le stesse che vide Karoline Knabberchen a Vecchiano. L’amore torna oltre la morte come foglie cadute ancora al ramo. Questo è stato è sarà il nostro esistenzialismo. Poso la mia mano sulla tua spalla su quella di Fabio Nardi. Con te piango, di gioia.
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