:: Karoline Knabberchen: Elogio dell'instabilità. Filosofia da baita. 39° della morte. |
Rileggo i sofisti. Perché a breve, stando sulla sedia sdraio nel cascinale di Fabio, il garrire delle rondini cesserà di farmi compagnia; mi dà ansia la sera ch’annera concedendo il cielo ai pipistrelli fischianti. Svolazzo canarina in cerca di provvisorio nido. Che so tentata gabbia. La Natura, per i sofisti, non è un in sé, bensì solo fluire di fatti in cui l’uomo, in qualche modo e come può, mette ordine: da qui l’adagio secondo cui l’uomo sarebbe il criterio degli enti: il puro scaturire e avvicendarsi è invece caotico. Fisso ostinatamente il cielo. Per convincermi di esserci. Tossisco, coff coff, tra l’ultima luce e il sorriso dei fiori pronti a richiudersi dietro nude spalle. Mi dico che nei sofisti si fa sentire ancora, per l’ultima volta, il soffio del tragico greco: l’Aorgico che si oppone alla Physis, il Caos che si oppone al Kosmos. Fronteggiare ciò con la forza plastica della parola anziché illudersi che lo si possa compiere mediante leggi convenzionali o con qualche dottrina dei principi, è il senso del tragico sofistico. Per questa corrente di pensiero il mondo umano è essenzialmente il mondo dell’opinione e dell’illusione, ma è su questo piano soltanto che si può agire e il mezzo è la parola, l’arte della mozione dei sentimenti. Quello dei sofisti è, pertanto, un elogio dell’instabilità e, a un di presso, della letteratura. Raggiungendo la piazza del paese ho preso l’affare della mia anima in dialogo col mondo per una forma di attesa. Appena torni, Fabio, ti dirò che le cose sono il mio sogno veniale e così anche la scrittura filosofica compiuta sulla sdraio. (Taccuino. Agosto 1983) |