OLYMPIA E CABANEL, ONANISMO E COITO
Napoleone III, tronfio come al solito dalla punta dei baffi fino ai tacchi degli stivali, avendo notizia della scandalosa Olympia di Manet esposta in quel 1865, ripensò al suo fine gusto estetico, che riassumeva quello degli amati sudditi, paragonando la “puttanella bruttina” alla splendida Venere di Cabanel, esposta sempre al Salon e da lui acquistata, due anni prima. Le onde fruscianti nivea schiena con amorini svolazzanti sui seni di porcellana, i suoi stivali lucidi che riflettono cosce morbide simili a quelle dell’amante di turno a cui concede nuotate nell'eros imperiale in divisa. Cabanel stimola al coito, Manet all’onanismo che rende folli e scemi. Disse tra sé. L’estetica dell’Imperatore fu veramente sintetica: la Venere cabaneliana emergendo nell’immaginario avvolta dai luminosi toni rosa azzurrini giace sulle onde per scivolare tra lenzuola adatte verso l’uomo adatto che dono adatto tra mito e sensi può ricevere carnalmente, mentre per Olympia, che aspetta con sguardo consapevole, e sfrontato?, di svolgere il suo commercio nel piacere e per il piacere di qualche cliente appena passato dal fiorista – la domestica nera ne tiene profumo e sboccio – altro non è che un invito alla masturbazione oscena, oscena come quel corpicino infantile, quelle coscine di burro inacidito, quel musetto da Civetta che fischia a comando interessata al lardo dei franchi. Questo Manet non ha futuro in pittura così come l’onanismo non può generare figli. Aggiunse Napoleone III al suo ministro, che non sapendo cosa rimuginasse sua altezza assentì, primo perché assentire non guasta con chi comanda, secondo perché di pittura poco gli importava, terzo perché cattolico osservante credeva fermamente che la masturbazione rincretinisse. In ciò era ideologicamente e perfettamente in sintonia con l’imperatore e di ciò fu fiero ripromettendosi di fare una capatina al Salon e tornare vicino agli stivali lucidi imperiali per sparlare del pittore inviso ai tacchi non ancora capitombolati a Sedan.
Pierre Guyotat l’ascoltai alla Sorbona, a Parigi nel 1971. Faceva parte del Gruppo Tel Quel. Quel giorno avrebbe svolto una comunicazione su Artaud e il linguaggio del corpo. Più che altro fece la storia di come si masturbasse. Tra panni immacolati, slip allentati, sborra, pulsioni abbaglianti, sensi di colpa, suoi, perché i vietnamiti stavan sotto le bombe. Altro che menarsi il cazzo. Mi aspettavo facesse qualche riferimento che in quei giorni cent’anni prima, Napoleone III le buscava dai prussiani a Sedan, e che certo non si masturbava, con tutte le amanti che aveva. Possedeva persino la Venere di Cabanel nei suoi appartamenti tanto per far intendere alle signore che offriva loro vasca tumultuosa per sciacquarsi prima e dopo il suo assalto ai pubi schiumosi eccitazione. Invece Guyotat ricordò, e qui capii che quelli di Tel Quel avevano dei numeri per stare in sintonia anche con la matematica di un italiano di Lotta Continua, ospite dallo zio Lenino a Parigi, in albergo di poche ma eleganti stanze, perché citò Olympia come esempio di scenografia per maschio onanismo, onanismo come scrittura in enumerazione che cerca schiavismo e lo impone ad altro corpo nell’immaginario. Insomma qualcosa di simile. In quel momento pensai a Campana al suo Arabesco-Olimpia a cosa scriveva della donna distesa dai denti di perla. Anche se nel ritratto tiene la bocca chiusa. A come fosse folle. E dissi alla mia compagna, Daniela Cantelli, che se Campana si masturbava ripensando al ritratto il suo rimbecillimento per onanismo era stato altamente fruttuoso. A te ci penso io, compagno, mi disse. Tu sei matto, Accio, anche senza menarti la fava. Lo eri già da piccino. In culla. Mi alzai incavolato, e andai sul Lungosenna. A sfumare il linguaggio del corpo e vidi su di una riva la Venere di Cabanel e sull’altra Olympia-Cantelli che mi diceva a te ci penso io.
Claudio Di Scalzo