:: Claudio Di Scalzo: Klenze nel Camposanto Vecchio di Pisa

  
 
 
 
LEO VON KLENZE NEL CAMPOSANTO VECCHIO DI PISA
Leo von Klenze venne al mondo nel 1874 a Schleden presso Hannover, paese sul quale spesso calava una nebbiolina capace di rendere tutto informe. Studiò a Berlino, perfezionandosi a Parigi e in Italia. Nel 1819 divenne architetto di corte del re Ludovico I di Baviera e impresse a Monaco la sua impronta classicista. Gli sembrò che i palazzi progettati e poi realizzati stessero lì a instaurare, nell’istante che li guardava, l’eternità. Niente è da lui più conosciuto delle ombre che gettano le statue nella Glittoteca. Primo esempio di museo pubblico in Germania, soleva dire vantandosi.
Aveva la vocazione a inventare gallerie nelle quali l’arte depositasse la sua fonte di inesausta purezza e dove il visitatore potesse in essa credere. Nacque così l’Alte Pinakothek. Galleria di pittura in senso assolutamente innovativo. In Italia, nei suoi viaggi, riempiva la diligenza di schizzi dal vero. Il paesaggio, secondo la sua vocazione, stava in attesa di essere segnato dalle matite. E rielaborandole per ottenere mediocri dipinti si sentiva la bocca cucita nella delusione.
A Pisa, nel Camposanto, percepì l’aria capace di aggrottarsi sulle tombe. Fu una specie di svenimento o forse la crudità del passato che l’invase. Erano gli ultimi anni della sua vita. In questo dipinto Klenze s’ispira alle forme architettoniche del medioevo e oblia l’arte antica e rinascimentale. Ai marmi offre la durata interminabile della parola sotto le arcate, se diventa preghiera. Le figure meditano sull’informe che produce la luce del vissuto per poi consegnarsi all’autorità, di nuovo informe, della morte. Le pareti che noi possiamo vedere affrescate nel quadro saranno distrutte dai bombardamenti alleati su Pisa nel luglio del 1944. Il quadro di Klenze è l’unico modo per contemplare, oggi, quanto fu donato alla città dai suoi artisti.