:: Giovanni Boine: "Bisbiglio e vespero". A cura di Claudio Di Scalzo |
BOINE DISGUSTATO SU TELLUSFOGLIO IL DISGUSTO DI BOINE RACCONTINO PER IL CENTENARIO DELLA MORTE (1887-19179 A MAGGIO
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GIOVANNI BOINE (1887 - 1917) a cura di Claudio Di Scalzo Scritti Disegni Fotografie Pensosità e altre Mirabilia come Post-Libro Transmoderno
Giovanni Boine BISBIGLIO E VESPERO
– E che vuoi dire? È tutto detto ormai. – Andiamo accanto per la sera quieti, zitti, come in una culla di bontà. – Però questo non dire mai, fa groppo, amico! C’è non so che intoppo, dentro, che non lascia dire. – Perché, se dici, è un po’ un ubriacamento. Uno si spende con facilità; ma poi nel vuoto ripunge il tormento. – Oh se lo so! Si soffre allora di profanazione… Le cose fonde non si posson dire. Non c’è che dire le inutilità. – E già: non si può dire la disperazione! Si dice, si ride infine si fa ciò che agli altri più cale: gai si gira attorno all’essenziale buio. – Oh amico! e questo è il male atroce della solitudine in mezzo agli uomini. – Che insopportabile soffrire essere sempre come agli altri cale, ma non poter scordare, non poter mai dire! – E dunque ormai che vuoi tu dire? È detto tutto. – Andiamo quieti per la sera accanto, in questa zitta culla di bontà.
DISLETTURA DOMENICALE (bisbiglio per bisbiglio) -Bisbiglio del nomade soggettivo che qui capita. Che flessibile un po’ va a cavallo per evitare ogni stallo e un po’ a piedi anche se tu lector non ci credi. Come transitare nel vespero della poesia italiana che potrebbe durare dalla morte di Leopardi? E nella quale Boine è il morto giovane dalla tisi frantumato ma accettandola con virilità, che altri bollati petti da sanatorio, non avevano. Transitare o transnaturare la tensione dualistica di Giovanni Boine impegnato a crepuscolarizzare il mestiere di poeta e ad accidentarsi di solitudine? Esploriamo cautamente sbalestrati. Quanto ci tocca per risultarne una critica ibrida -È tutto detto ormai può firmarlo anche il Moretti col suo lapis e stando a Cesena. Che piova o che faccia bel tempo. -Groppo rima con intoppo ma la parola che non si lascia dire dove finisce? Sotto una suola? In questa estetizzazione del quotidiano passeggiare lungo riva o tra gli ulivi scassinati dai fulmini dal vento, Giovanni Boine fa un uso performativo del lessico lamentoso crepuscolare. L’uomo nel suo essere è silenziato. Può tornare al rimpianto di una culla dove il dondolio o cigolio o la madre parlava per te fantolino Boine. E poi? Oggi per noi parlano le ibridazioni post-umane nelle tastiere dei pc degli iPad e degli iPhone. Il groppo è stroppiato da qualsiasi superficiale che basculla tra Instagram e Watsapp. -Darsi come ubriachi. Abbassare il linguaggio al balbettio impastato d’una lingua ridotta a pagliaccesco comportamento. Rende inermi. Soprattutto poi, l’autore, chi scrive, perde la propria allucinazione soggettiva, che ha bisogno di lucidità e acqua di fonte, niente cognac e vino ligure; e se uno traballa nel vuoto parolario poi si pente e si martella il grugno con rimpianti. L’autor à da esse 'osa seria alla buonor! O mamma qui siamo in man ai cialtron. Bisbiglia nel vespero a Porto Maurizio il Boine incazzoso. -Se le ‘ose son fonde e non le sai a dì a niuna persona fattene na' ragione la gente vive in superficie della materia e dei sentimenti e nessuno se ne accorgerà. Tanto vale dire scrivere le stronzate. Qui siamo a un millimetro da Flaubert. Si profana ma la letteratura omai sta in tana. Dunque?, ovvia lo 'apirebbe un bambino: si profanano le opere di topetti. -Il tempo della disperazione è differenziale si ricombina in frammenti ora della disperazione ora del divertimento e insieme disgrega la poesia originaria che un tempo, prima del '900?, era possibile che si diramasse per il verso giusto. Con il relativo gusto! -Ecco qua! ecco qui! la geeeente. In mezzo alla quale si sta in osmosi per non apparire diversi ma poi la diversità di quelli alla Boine, tutta sta' gente dalle olive alle telline, dalle casette alle barchette che faran mai?, la sofferenza gliè pompata dal non detto. Dal non espresso.
Tutto è stato detto. Che si scriva col lapis, che lo si scriva morendo in una chiesa stesi sulla sulla croce come sul materasso tossendo sangue, che si ghigni in bicicletta fori porta a torino o in nave verso l'ndia del bramino, tutto è stato detto anche sul vaporetto. Dice Boine di Porto Maurizio. E questo vespero non è uno sfizio.
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