:: Margherita Stein: Sulla formazione filosofica tempestosa in Provincia. 1979 |
Secondo la squamazione, bel pesciolone, hegeliana, scherzo con la parola Tradizione (impara il rimare-remare fluente dell’educazione philosofica fotografo di Vecchiano), PENSARE è il disporsi, polsi-torsi-corsi emisferi cerebrali, con la mente alla comprensione del proprio Tempo. Ricovero infiorato, mormoro. Certo! Dico decisa, ma sempre a partire da un essenziale riorientamento della “pensosità” (Nachdenklichkeit) - a meno di non rifiutare anche questa disposizione naturale - sull’asse della propria appartenenza/pro-venienza. In PROVINCIA. Dentro questo ri-orientamento prende avvio quell’incamminarsi nel Pensiero che chiamo (ti prendo all’amo Accio? Perché ti amo?) “deterritorializzazione”, oppure sradicamento (Entwurzelung); con il che resta altresì inteso che pensare non è affatto un ritorno alla tana, alla madre: quanto una “dialettica”, se così vogliamo dire, tra RADICAMENTO (traducente ma non in “maniera” permanente, funzione identitaria protettiva domestica placentare) e DISLOCAZIONE (Traducente in Cima Tempestosa funzione dispersiva opacizzante secretativa: un sottrarsi alla generale struttura ispettivo/ecografica dello Stato della Filosofia: insomma un venir su da solo, come HEATHCLIFF). Dentro questo ri-orientamento Pensare significa pertanto, innanzitutto (gusta questo frutto il Figlio di Lalo che tu pa’ senza studi tiene sul camion OM), liberarsi delle varie ostruzioni e costruzioni messe in atto dai cosiddetti ricercatori e maestri “autorizzati” (ne ho una bella sfilza conosciuta all’Università di Pisa, bascullante tra facoltà di Filosofia e Storia e Letterature!); ciò richiede in primis d’es il riconoscimento della propria “appartenenza-provenienza”: ho un marchio infamante da qualche parte impresso sul corpo, un segno inequivocabile nello sguardo, un’impronta inoccultabile nella frase che sibilo: è segno della tana, della lupo-sità, della cattività. Tutto ciò io vi rappresento. Ciò nondimeno ora parlo, parlo! Cumme pare a mia cun té sanzo tè. «Ma forse che parlare serve?» Il mio nome rimanda al fiore per eccellenza da “sfiorare” petalo dopo petalo; ma se i petali a volte tra i morbidi son taglienti come lamette, ehmm, ferire chi ti vuole asservire! Rima anche per il mio lettore, unico, Claudio Di Scalzo(sdoppiato) Fabio Nardi.
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