:: Machado: Sulle immagini nella lirica. A cura CDS |
ANTONIO MACHADO Sulle immagini nella lirica La mia opinione era questa: le metafore non sono nulla per se stesse. Non hanno altro valore che quello di un mezzo di espressione indiretto di ciò che manca nel linguaggio omnibus dell’espressione indiretta. Se tra il parlare e il sentire ci fosse perfetta commensurabilità, l’impiego delle metafore sarebbe non solo superfluo, ma pregiudizievole all’espressione. Mallarmé vide solo a mezzo questa verità. Egli ha visto ben chiaro, e lo dice in termini che non lasciano dubbi: parler n’a trait à la réalité des choses que commercialement; ma nella sua lirica e anche (nella) sua precettistica, si avverte la credenza superstiziosa nella virtù magica dell’enigma. Questa è la parte realmente debole della sua opera. Creare enigmi artificialmente è qualcosa di così impossibile come raggiungere le verità assolute. Si possono sì, fabbricare misteriose cianfrusaglie, figurine da bazar che portino entro il ventre cavo qualcosa che, se lo si agita, suoni; ma gli enigmi non sono di confezione umana; la realtà li fonda e, là dove sono, li cercherà la mente riflessiva con l’intenzione di penetrarli, non di trastullarsi con essi. Solo uno spirito triviale, un’intelligenza limitata al raggio della sensazione può divertirsi a intorbidare concetti con metafore, a creare oscurità con la soppressione dei nessi logici, a scombinare il pensiero volgare per cambiare gli otri senza migliorarne il contenuto. Tacere i nomi diretti delle cose, quando le cose hanno nomi diretti, che sciocchezza! Però Mallarmé sapeva anche - ed è questo il suo forte - che ci sono profonde realtà che non hanno nome e che il linguaggio che impieghiamo per intenderci gli uni con gli altri esprime solo ciò che è convenzionale, oggettivo - intendendo qui per oggettivo ciò che è vuoto di soggettività, vale a dire, i termini astratti in cui gli uomini possono convenire per eliminazione di ogni contenuto psichico individuale -. Nella lirica, immagini e metafore sono dunque di buona lega quando s’impiegano per sopperire alla mancanza di nomi propri o di concetti unici che richiede l’espressione di ciò che è intuitivo, mai per rivestire quanto è generico e convenzionale. I buoni poeti sono parchi nell’impiego di metafore; ma le loro metafore, a volte, sono vere creazioni. In San Giovanni della Croce - forse il più profondo lirico spagnolo - la metafora non compare se non quando il sentire trabocca nell’alveo logico, in momenti profondamente emotivi. Esempio: Nella notte felice, in segreto, ché nessuno mi vedeva né io nulla guardavo, senz’altra luce e guida che quella che nel cuore risplendeva.
L’immagine compare per un subitaneo incremento della dovizia del sentire appassionato e, una volta creata, è a sua volta creatrice e genera, per il suo contenuto emotivo, la strofa seguente:
Questa mi guidava più sicura della luce del mezzogiorno…
Come siamo lontani, qui, dalla variopinta fabbrica d’immagini dei poeti concettuali e barocchi che appaiono più tardi, quando in realtà la lirica è già morta.
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Tutti crederanno che i miei epigrammi sono scritti contro qualcuno. Dietro di essi sarà posto un nome, chissà di chi. Forse di colui al quale meno che a tutti ho voluto alludere. Nessuno comprenderà che questi epigrammi sono scritti contro me stesso. E perché no? Io sono Tartarino, io sono il grillo, l’asino dal flauto roco, e la chiocciola e tutto il resto. Perché non dovrebbe l’uomo cogliere di sorpresa la propria triste figura? Dobbiamo scrivere per esaltare ed incitare noi stessi? O il contrario.
12 febbraio 1916
NOTA
Per organizzare su L’Olandese Volante i due post: “Oltre l’aneddotica con Machado” e “Antonio Machado": Sulle immagini nella lirica” ho utilizzato “Prose di Antonio Machado”, traduzione e note di Oreste Macrì e Elisa Terni Aragone, Lerici Editore, Roma, 1968. (CDS)
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