:: Demetrio Pianelli, Alfonso Nitti, Lorenzo Gradi. Impiegati.

 

Claudio Di Scalzo

DEMETRIO PIANELLI, ALFONSO NITTI, LORENZO GRADI. IMPIEGATI

Usando la parola impiegato in una conversazione corriamo il rischio di materializzare una maschera, la maschera di un bravo attore, il ragionier Fantozzi. Una maschera appunto e non una persona. E questo vuol dire semplicemente che la potenza del cinema e del comico in celluloide ha can¬cellato tutte le sfumature che dell’impiegato ha dato la let-teratura con i suoi personaggi di carta. La vetrina, stavolta, darà al lettore l’occasione di conoscere altri tipi di impiegati. I loro nomi sono: Demetrio Pianelli, Alfonso Nitti, Leopoldo Gradi, protagonisti di tre romanzi. I loro inventori sono il milanese Emilio De Marchi, il triestino Italo Svevo, il senese Federigo Tozzi. A rendere, per primo, gli impiegati protagonisti di un romanzo, con Les employés del 1837, è stato probabilmente Honoré de Balzac che da ogni cambiamento nella composizione delle classi ricavava un quadro narrativo. Ma sulla figura in letteratura dell’impiegato poi ritorneremo, tanto il Novecento è pieno di impiegati che hanno distillato metafisiche bizzarrie sull’universo rettangolare delle loro scrivanie. Per ora vediamo le vite dei nostri tre impiegati italiani. Demetrio Pianelli, personaggio centrale del romanzo omonimo (Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli, Garzanti),è un applicato all’ufficio del registro che si fa carico dei debiti contratti dal vanesio fratello andando incontro alla rovina e questo anche per i begli occhi della cognata. C’è il ritmo del melodramma in questo romanzo e una indi-menticabile Milano di fine Ottocento.

Alfonso Nitti è l’anti-eroe che si nutre di occasioni mancate fino a perdersi (Italo Svevo, Una vita, Newton Compton) e la sua malattia gli si rivela frequentando Annetta (Ma quante Anne, Annette, Annine ci sono nella letteratura?); una inquieta figura femminile che conosce il gioco del dare e del togliere.

Lorenzo Gradi ha vent’anni, fa l’impiegato in ferrovia a Pontedera vicino Pisa e tiene un diario (Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi. Ricordi di un impiegato, Feltrinelli). In questi ricordi la potenza del linguaggio di Tozzi viene d’incanto a stupirei con fulminanti similitudini che sgorgano dal suo io nevrotico e dal suo cattolicesimo “arrabbiato”.

 

 

 Federigo Tozzi

RICORDI DI UN IMPIEGATO

3 gennaio

Strapparmi dalle ubriacature di ozio e di vagabondaggio, a cui mi sono liberamente abbandonato dai quindici ai ven¬t’anni, mi pare una crudeltà raffinata. E mi offendo se qualcuno  tenta di convincermi che anche io devo pigliare una strada meno comoda ma più seria. Un giovane intelligente e innamorato non ha il diritto di fare il proprio comodo? L’amore mi occupa tutto quanto l’animo; e mi pare unico mestiere che si confaccia alla mia coscienza e alla mia superbia. Non sembri strano che io mi senta anche molto ambizioso; anzi, per questo motivo, non voglio lavorare me tutti gli altri; e persisto nel proponimento di attendere, i giorno in giorno, una sorte privilegiata quale me la figuro. E non ammetto transazioni.

5 gennaio

Alla fine, sono messo tra l’uscio e il muro da mio padre; che, mostrandomi la sfilata dei fratelli e delle sorelle, mi convince di concorrere alle Ferrovie dello Stato. Un’occhiata, tra umida e dispettosa, a mia madre incinta e ancora giovane, mi fa chinare la testa e piangere.