:: Sandro Ivo Bartoli: Delirio diurno di un pianista

 

CDS: "Franz Liszt  nel suo gennaio" - 12.1.2016

 

 

Caro Accio!, caro amio tra i monti di ‘onfine,… ti scrivo vernaholo ma la biografia immaginaria dedicata al sommo Liszt, che andrò a interpretare a Lucca, l'ho modellata nell’italiano classico.  Son  du'righe fresche fresche... Fanne l'uso che vuoi sull’Olandese Volante... 

Sandro IN NOMINE LISZT. Che s’espone nel  “Delirio diurno di un pianista all'opera”.

 

 

 

 

Sandro Ivo Bartoli

DELIRIO DIURNO DEL PIANISTA

ALL’OPERA SU LISZT IN QUEL DI LUCCA


Caro Franz,

Se davvero t'avessi conosciuto, due cose sono certe: anche io farei parte del mondo dei più, e sicuramente non t'avrei dato del “tu”. Forse mi sarei limitato al “Voi” dell'italiano romantico, forse mi sarei accontentato del canonico “Maestro”, ma più probabilmente mi sarei lasciato andare al richiamo del sentimento più sincero, ed avrei abusato delle iperboli più stucchevoli. Invece sono qui, in un giorno d'inverno, a far finta di scriverti due righe – false come le cassapanche, perché tu sei morto da 130 anni, ed io, di anni, ne ho 45 – come se queste mi aiutassero a passare il baratro del dubbio interpretativo. Eppure, mi pare di conoscerti dimolto bene. Anzi, mi ricordo anche la prima volta: mi sei capitato a tiro quando non avevo che dodici anni, ed avevo da poco iniziato a prendere lezioni di piano. Un suadente Editore, che con gli anni ho imparato a detestare, aveva messo insieme un'accozzaglia di tuoi brani “facili” che io, immodestamente, volevo a tutti i costi imparare; a nulla valsero i divieti della mia arcaica insegnante: nelle ore di studio, invece che sulle scale dell'industrioso tuo maestro Czerny mi arrampicavo sui tuoi accordi a mille facce, sulle tue melodie Zigane, senza avere i minimi mezzi per cavar da loro alcunchè di decente. Come sai meglio di me, in fondo tutto quel che rimane della grande Musica è la memoria, e la memoria, come ben vedi, mi è rimasta, eccome! Anche io sono cresciuto, e con gli anni mi sono arrampicato su altri picchi impervi che tu hai avuto la grazia di lasciarci. Piano piano, anno dopo anno, in quel labirinto allucinante e pieno di trabocchetti che è il pianista nell'atto di formarsi il repertorio, di tuo ho letto quasi tutto. Molte cose sono diventate parte di me, le ho condivise con mezzo mondo: a volte bene, a volte male, sempre con innocente sincerità. Altre non son mai riuscito a digerirle; e sì che son di stomaco buono, m'ingozzo di cignale colle olive ogni volta che posso, annaffio, come avresti fatto tu, con abbondante vino nero, ma le tue stravaganze più romantiche proprio non mi vanno giù. Pazienza: nel tuo sconfinato catalogo ci sono anche troppe cose di valore immenso, e quelle mi fanno compagnia ogni qual volta che metto insieme un programma da concerto. Ultimamente ho scoperto con meraviglia il tuo repertorio francescano, ho letto con brama tutto quello su cui sono riuscito a posar gli occhi a proposito della tua vicenda umana, tragica assai, che ti ha portato verso quegli scogli d'armonia visionaria ispirata al poverello d'Assisi, mi sono consumato le dita ad imparare i tuoi arabeschi, le tue “Leggende”, ed a dare agli accordi che chiudono il Cantico di San Francesco quel carattere da animale ferito che, secondo me, avresti voluto. E poi son diventato matto a cercare di emulare la voce umana che inneggia a “Frate Sole” e “Sora Luna”, perché tu ti sei preso la bella briga di scrivere sotto a quei versi una melodia insuonabile: la si potrebbe solo immaginare, bella com'è, ma noialtri bischeri che ci prendiamo la briga di suonarla in qualche modo dobbiamo eseguirla. E si casca sempre corti, caro Franz, perché nessun musicista potrà mai eguagliare dal palcoscenico le bellezze infinite dell'immaginazione. Ri-pazienza! Ti ho preparato un bello scherzetto: ricordi come amavi definirti “metà Zigano, metà frate francescano”? Ebbene, la settimana prossima tornerò a Lucca, ove anche tu soggiornasti a più riprese, ed eseguirò un concerto a te dedicato intitolato proprio così. Ti piace? Nella seconda parte farò ascoltare i tuoi lavori francescani: non è la prima volta, questo pubblico non li conosce nella loro interezza, e spero di poter far guadagnare qualche altro accolito a questa arte straordinaria del tuo repertorio. Ma nella prima parte farò ascoltare quattro tue Rapsodie Ungheresi, assieme agli enigmatici “Cinque Canti Popolari Ungheresi” che, se non sbaglio, scribacchiasti a Roma nel 1873 e mai ti desti la briga di pubblicare. Un paio di questi finirono nella raccolta di pezzi “facili” che ci fece incontrare tutti quegli anni addietro, e questi non li ho mai suonati da allora. Ebbene: siccome bischeri si nasce e bischeri si muore, lascia stare le mille note delle Rapsodie Ungheresi; lascia stare i cinguettìi degli uccellini nella prima Leggenda, o i tumulti dei marosi nella Seconda Leggenda, e lascia stare anche gli arpeggi dei tuoi fantastici Giochi d'acqua a Villa d'Este. Sai cosa mi dà i brividi? Bravo, hai indovinato: proprio quei cinque aforismi che ci fecero incontrare: non ci trovo il verso, proprio come tanti anni fa! Più forte? Più piano? Più veloce? Meno cantabile? Accidenti a te, Franz, e a me che ti vengo dietro. Se, in questi giorni, ti venisse la voglia di mandarmi una qualche illuminazione dal Parnaso, ove sicuramente ti trovi, te ne sarei dimolto grato. Se no!, Franz, c'è poco da arrovellare: bisognerà che tu t'accontenti di quello che riuscirà a fare da solo, come tutti quegli anni addietro, il tuo postero Amico, che da quaggiù ti saluta e ti ringrazia per tutta la compagnia che gli hai fatto sinora.

                                                                                                          Sandro