:: Claudio Di Scalzo: Enrico Fracassi sul ponte |
Fracassi ricorda una bocca, grazie alla luna sopra al monte Velino, una bocca che ha cambiato tante volte il suo umidore, in ogni caso non è per lui. La distanza non è colmabile. Il soggetto Fracassi c’è, e di li a poco il suo fantasma sul ponte c’è, perché andrà a uccidersi, ma la luna è nella sua ripetizione sempre differente e così la bocca ricordata. Il poeta istituisce una metafora e la sua Imbecillità a ricordare labbra tanto lontane la può mettere in questione, renderla sublime, vincerla, soltanto con lo statuto del suicidio. La questione è semplice, si prende la rincorsa o a passi lenti e si va dall’altra parte del ponte verso l’Invisibile. Il suicidio mette in relazione una bocca e la luna, un bacio dato ricordato e uno, tra i tanti, dimenticato. Per uscire da questa Imbecillità Fracassi sceglie di creare la sua vita pura e in poche pagine con il gesto più assoluto di furbizia. Sottoterra, come scrive in “Congedo”, saprà se le sue ceneri avranno avuto requie. Se le “giunture” del suo corpo più non avranno bisogno del lucore di alcuna luna, di alcuna bocca umida e gelida, lontana, di alcuno spazio che non sia la sua intima esperienza con il Nulla o con un Dio pietoso del suo destino.
TRE POESIE DI ENRICO FRACASSI
(Poesie di Enrico Fracassi 1902 – 1924 - Da “Passione e oblio”. Ed. Il Labirinto, 1998) °
Giallo, livido sopra Monte Velino s’inalza
il disco che illumina l’aia. Ma l’aia non suona di grida. Non ci siamo stati che noi, bambini? In una sera come questa, ora sono dieci o dodici anni t’ho strette le mani giocando, fra il pagliaio ove siedi e la casa, scotendomi la febbre le vene. Certo, non ricordi. Che vuoi? Da quella sera, la luna - tante volte s’è rinnovata, e la tua bocca, come la luna - anch’essa s’è rinnovata. °°
Settembre e la sera declinano; dalle giunture
le membra mi allontanano; resti tu sola.
Cadavere sopra cadavere; la Terra è morta
sulla spoglia dell’estate riversa.
Il mandorlo con i suoi rami
carichi, assiste.
Io penso che questo sia
il paese di là dalla terra favoleggiato
eguale, immutabile, fermo,
d’un colore calmo,
d’un profilo nitido.
Le vene più non mi battono; il sangue dal cuore
più non fluisce; le zolle sono aderenti
alle mie ossa; disteso lungo i solchi
segui le gémine onde,la passione e l’oblio,
configurarsi e confuse scorrere dalla luce,
ristagnare in un bacino opaco.
°°°
CONGEDO
Sottoterra non vive spirito e senso;
le ceneri peregrinano, poi si confondono.
Atomi elevano le montagne, monumenti
che illuminano lampade, senza ricordo accese.
Dolce per me sarebbe e per te profondare nella quiete;
sul tuo seno assaporo una più certa morte.
Non più ascolteremo, sparte membra nel suolo,
scendere di soppiatto, fra le viti, la sera.
Per noi, sulle montagne, ora s’accenderebbero
quelle immobili lampade sepolcrali.
|