:: Sara Cardellino e Accio: Separazione e reincontro sulla Riviera del Brenta ieri e oggi con Villa Malcontenta. 2011 e 2018


Sara Cardellino e Accio il 4 marzo 2018, ancora, a Villa Malcontenta sul Brenta
40 x 50 - tecnica mista su cartone



 

Sara Cardellino e Accio

LA RIVIERA DEL BRENTA
IERI E OGGI CON VILLA MALCONTENTA

20 novembre 2011 - 4 marzo 2018 novembre

 

Ora che sei giunto nella Val di Serchio nel tuo cascinale. Ora che sei al sicuro. Ora che non ho più patemi perché so che guidi come non dovresti ad alta velocità. Ora che posso mettere a confronto le ore di tanti anni fa con quelle che abbiamo appena vissuto, posso spedirti questa fotografia.

Qui venimmo nell’autunno nel maggio 2009. Qui il 2011. Il 20 novembre. Separandoci.

Scattai una fotografia col cellulare alla Malcontenta. Te la feci guardare. Le piante spoglie, i rami seccati, la scarsa vegetazione, dovevano bastare. Invece tu, per quanto triste, aggiungesti che andava raddrizzata, pendeva, e che virata nel bianco e nero avrebbe “funzionato meglio” come fotografia come correlazione con quanto stavamo vivendo. I rami in primo piano, aggiungesti, sfocati, appaiono come sciame fantasmatico. Ricordo che mi prese una rabbia verso te incontenibile, che mascherai con freddezza, forse avrò detto: “Ah si! Che importanza ha?”

Per me non aveva nessun rilievo “aggiustare” l’estetica dell’immagine. Per te fu la prima preoccupazione anche in quel frangente. Sei artista in qualsiasi momento. Travolgi tutto per questo. Me ne stavo andando disperata, amandoti, perché non reggevo più l’estetica prima dell’etica che incarnavi, nel privato, e non capivi il mio dramma.

Immaginai che lo stesso era valso per Karoline Knabberchen con Fabio Nardi, nel romanzo in prosa in versi in fotografia, che alcune parti avevo letto. Ci piansi me lo ricordo benissimo. A singhiozzo. Era il tuo essere “attrezzato” in questa maniera. Non lo facevi perché dovevi pubblicare o curare mostre. Semplicemente mettevi al primo posto l’estetica. Anche quando un grande amore diventava irrimediabilmente infelice. Sembravi l’incarnazione disperata di una fase dell’esistenza che il danese malinconico teorizzò. Non potevi capirmi, non potevo giustificarti. Me ne andai.

In casa, a Venezia, pensando al nostro destino, a me, come oggi ne scrivi, di “Donna che visse due volte nel cuore dello stesso uomo”, ho guardato le foto conservate. Anche quella a colori prima di virarla in Bianco e Nero. Perché allora posandola nel pc ci scrissi la didascalia: “Villa Malcontenta, 20 novembre. Ad Accio che qui potrà sempre trovarmi”.

È successo davvero! Però tu oggi ogni estetica l’hai messa finalmente da parte. Come concezione dell’essere, come prassi. Guardando la fotografia, però, devo scriverti che avevi ragione sul piano estetico. Virata nel bianco e nero e raddrizzata, è semplicemente bella. Nostra. Superata nei grigi, anche se ora i tuoi capelli son così, perché ogni colore di primavera è tornato.

Accosto alla fotografia ci poso i versi che scrissi, in un libro che scelsi di non pubblicare, prima di smettere di scrivere in conseguenza della nostra separazione nel 2011. Anche la poesia accoglie questo luogo, la Villa Malcontenta, il fortissimo legame che non s’allenta. Il fantasma d'amore, era buono, gentile, e ha preso nuovamente corpo, due corpi, reale, reali, ci ha atteso. Questa conferma il racconto.


 


“Villa Malcontenta 20 novembre 2011”.

Ad Accio che qui potrà sempre trovarmi

colore virato B/N



 

Sara Esserino

ad Accio

Acque scure marmi chiari

verzura cupa schiuma liscia

alla Malcontenta nel tempo

di perduti adagi e barcarole

l'immagine nella fotografia

tramanda robusta costituzione

d'autunnali contrasti.

 

Si sperde ogni complicità

boscaglia di nervi perpendicolari

a qualche equivoco filigrana

d'amore inesausto sperso.

 

Ancora cola negli occhi

delazione della scoperta debolezza

di non saperti trattenere

in quanto il seme del tempo

(nostro)

può specchiarsi.

 

Squama pietra silenziosa

strisciano come insetti molesti

spigoli dei respiri.

 

L'addio scuote a sorsi

la collisione che ci lasciamo

sulle labbra mute.