:: Accio: Primo dipinto per Museo Domestico a Sara Cardellino. Filippo De Pisis. |
(in questa sezione 80 CAPITOLI; in tutta la Barra sono 260 capitoli dedicati alla coppia senza contare gli altri personaggi e quanto pubblicato nelle sezioni in prima pagina. O in sola pittura e fotografia. Oppure che sta nei file non pubblicato. "Questa è l’acqua alta della fantasia nostra che ci porta il Bene", dico alla musicista. Stamani che faccio qualche conto di fine anno. "E non esisterebbe senza il tuo sorriso per me ora che ti svegli e mi guardi mentre ti ho appena disegnata, com'eri ieri sera, ascoltando un mio ragionamento a caprioli sulla pittura su De Pisis"
Tu mi porgi capolavori in musica, Cardellino, in cambio ti creo un Museo Domestico. clikka: Ascoltando la Quinta sinfonia di Beethoven Si comincia con Filippo De Pisis. Che dipinge “Venezia, la Salute”. Lo scelgo perché son qui da te. In questa città. E perché ripenso a quanto ne scrisse Mario Tozzi: “Filippo de Pisis dipinge rapido, nel volgere di una sola mattina compera un pesce, lo dipinge, lo cuoce e se lo mangia”. Ecco come mi garba la pittura. Che prende le mosse dal reale. Con l’artista che senza teoria a priori crea un capolavoro. Ma sulla pittura di scorci di vedute urbane e monumenti devo aggiungere che De Pisis ci si esercitò a Parigi a Milano per giungere a Venezia. In Laguna realizza sulla tela atmosfere straordinarie. “Venezia, la Salute”. La solennità non è appesantita nel simbolo fine a sé stesso perché i marmi le genti stanno nel mistero della bellezza con cupola sfiorata dai volatili. Il cielo è denso con macchie celesti più scure vivaci. I mobili riflessi delle acque dialogano con perfetta ispirazione con la staticità delle architetture accennate in luce in ombra. Ecco, Cardellino, il pittore mangia il pesce, sputa le lische, e poi unge il pennello nell’olio di lino, dopo il pane nell’unto del fritto, per far quello che ad altri non potrà mai riuscire di uguale. Questa è l’arte. E se la vivi così puoi anche accettare, alla fine del tuo percorso, di finire semi paralizzato in una casa di cura di Brugherio, presso Milano, e lì morire il 2 aprile 1956, quando io avevo cinque anni o quattro se, nato di sette mesi, l’otto dicembre, me ne tolgo uno. |