:: Claudio Di Scalzo: Dono tanto per capirci. Dono per tutto dirti. Karoline Knabberchen alla Grundtvigs Kirke di Copenaghen |
14.II.2012
Claudio Di Scalzo DONO TANTO PER CAPIRCI Karoline Knabberchen alla Grundtvigs Kirke di Copenaghen
Scivolò sul sagrato con le spalle appoggiate alla porta. Quasi svenendo. Karoline s’abbandonava senza perdere il controllo. Viso smunto. Cos’hai?, chiese Fabio carezzandole gli zigomi. Ascoltò sorpreso la risposta. “Davanti alle chiese protestanti la rappresentazione della fragilita e d’obbligo”. E intanto arricciava il naso divertita. Di quest’ossessione di slanci (frontoni per gradoni ripidi come perdoni) verso i confini dell’architettura sono il custode dietro lo steccato della visione …solarita fitta. Grundtvigs Kirke, chiesa eretta in Copenaghen alla memoria di un vescovo sembra biascicare l’ordine settario imposto dalla modernita. Karoline si chiede se l’esito è una preghiera che sappia di canzone sul vuoto della fede che falsifica ogni cicatrice. Oggi sei la teologa più incantevole della capitale. Vuoi questa facciata in regalo? “I doni devono inquietare. Veramente questo e uno dei nomi che può prendere la mia eta? Chiede K.K.”
(da il “Canzoniere di Karoline Knabberchen” - Tellus 30 Nomi per 4 stagioni, 2009)
Claudio Di Scalzo DONO PER TUTTO DIRTI (Trasfigurazione poetica)
I Scivolare ancora, Fabio. Ma quest’immagine la conservo dove sono scesa, perché anche qui la rappresentazione della fragilità necessita di forme sacre.
L’esito di preghiera che sappia di canzone nel pieno della fiducia che custodisce ogni traccia.
La teologia dell’abbandono è senza colpe. Questo è giusto tu sappia: che mentre mi regalavi un nome nuovo io m'apparecchiavo una fatalità di placenta. Solo io scendevo e la tua mano era sempre quel nome. Non ci furono neppure tuoni nelle orecchie, quel giorno. Neppure un cuore da spellare. Forse un crepitìo lieve d’acqua, il male ingegnoso delle Ninfe. Mantengo la struttura traforata dei rosoni romanici, il pizzo di luce solida della tua pupilla inumidita.
Fabio, da tutte le profondità la fionda del tuo sguardo torna a spezzare la superficie. Non sei mai rimasto sul pelo dell’acqua, troppo ti sei immerso senza lasciare il respiro: non puoi raggiungere ciò che non t’appartiene. Non puoi comprendere un nome diverso da quello che m’apparteneva. Allora... frena la facilità tragica del resistere. Ho attraversato le intimità che mi dissociavano e sono giunta, infine, alla totalità del soffio opportuno: scivolo nel sollievo, tu mi doni, oggi, il giusto nome.
II Rinvenire sull'argine tagliente Accogli i miei riguardi
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