:: Karoline Knabberchen: Quaderno del mite inverno, XVII |
ol/tv, 193 x 151 cm, Kunsthalle, Karlsruhe, ca 1525
Karoline Knabberchen QUADERNO DEL MITE INVERNO (20 agosto 1984 – 20 agosto 2016) (a cura di Fabio Nardi) XVII LE SPINE DEL CRISTO DIPINTE DA MATTHIAS GRÜNEWALD Verso questo pittore provo il brivido dell’innamorata. Il tragico s’adagia nel cantuccio a me adatto perché l’angolo da cui mi guarda guardato sta tra il sublime e il popolare. Mathis Nithart Gothart (Würzburg, 1480 circa – Halle, 31 agosto 1528) perse addirittura, dopo la morte, il nome per prendere tempo dopo quello di Matthias Grünewald. Che dono scomparire nell’eternità che l’ha tratto a sé mentre le tele con il Cristo e la Passione sul Golgota possono porsi nell’attimo terrestre come traccia persistente del Figlio di Dio. Quelle spine arcanamente strusciano pure la mia fronte e squarciano il velo d’ogni estetica a cui pure mi consegnai come fallace. Poche tavole spesso senza firma, quelle di Grünewald, rinunciando alla grafica incisoria per non moltiplicare - nell’atto unico del dipingere - l’atomo sperduto del suo talento religioso, lasciandolo in un solo passaggio. In vista sull’invisibile bisbiglio della fede. Da porgere a orecchie e pupille se in esse intendono la dimora prima di Dio.
In tanti, tantissimi, in un esercizio inutile riducono la religione cristiana ai suoi esiti terrestri. Esiti per certo, anche, commisti ad atrocità. Pensando di smontarla consegnandola ad una episodica critica totale con Illuminismo da bar. Che idiozia. La religione cristiana è Cristo. Crocifissione. Dio fattosi uomo per amore. E se anche Cristo fosse morto e non risorto perché Dio è assente oltre la Morte, sempre ciò vale come “romanzo” fondante per l’Essere. In ogni caso così è per me! Religione è Grünewald e i suoi pennelli. E quelle spine sono la vita reale dell’uomo sulla terra. Per giungere all’Amore. Alla sua comprensione. Cura. Interpretazione che ci salva. O ci dà l’illusione benefica di salvarci. In ogni caso così è per me. Grünewaldovvero il maestro del colore che non vira nel bitume, come parola bisbigliata varcante luci e ombre del tempo, per salutarci nella nostra domestica ascesa.
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