:: Karoline Knabberchen: Il Lucarino di Giovanni Boine (1979). Dedicato ai compagni conosciuti a Pisa finiti nei carceri speciali per detenuti politici. A cura di Claudio Di Scalzo |
Karoline Knabberchen negli anni del nostro legame (1979-1984), e prima della sua drammatica morte, non è che abbia svolto politica attiva, se non la cura de (clikka) IL FOGLIO DI LALO, ciclostilato che ideammo assieme; però era molto coinvolta, fino al pianto, e alla tosse, per i compagni che aveva conosciuto dai miei racconti, e alcuni di persona, e che stavano in prigione spesso con accuse che dilatavano la loro opposizione estremista al regime democristiano e capitalistico fino al terrorismo, senza che avessero compiuto atti di sangue o reati punibili con il carcere duro per politici.
Karoline Knabberchen IL LUCARINO DI GIOVANNI BOINE - 1979 Ero lì che l'osservavo, lui e il suo garrulo canto, che pareva canto di prigione o non so che malinconico stupore. Io l'osservavo, a scambiar motti con la bimba che sgambettandogli intorno, rispondeva: lui, in alto in alto appeso a scuoter la testa e mandar lampi dagli occhi che si facevano sorriso. Son tutti fischi rochi, rotti in gola, i suoi; tranne qualche trillo improvviso da voltarti incuriosito col cuore che martella: diresti ch'è tra noi di nuovo, ch'è dei nostri, dei vivi in terra, non più schiacciato tra i magri ciuffi d'erba e la bassa nuvolaglia di primavera. C'ha un suo ramo, mi son detto, anche in quella galera di vita; c'ha un perché ogni giorno, dai trilli di campana che manda fuor dal gargarozzo allegro. Ma niente, che mi sbaglio. Son sprazzi come temporali d'allegrezza, e Silietta che sa di grano e primavera, nemmeno lei coi suoi richiami ci può nulla. Le ali l'ha rotte. Non l'ho mai veduto volare, nemmeno quelle planate tra le sbarre che qualcuno crede le si faccia per felicità. Un giorno si radunarono in tanti qui fuori nello spiazzo ch'era innondato dal sole: quelli pazzi starnazzanti, gli altri, i liberi vocianti che vengon a volte – prima uno, l'altro dopo – come a richiamarlo fuori, che non può; come a dirgli d'aprire e andarsene, che non ha chiavi per quel meccanismo. Non me n'accorsi subito, assorto in concitazione, non vidi neppure Silietta tutta lacrime, zitta zitta aggrappata alle sottane della madre; stavo appeso allo stupore generale agitato come vessillo a far temere una qualche rivoluzione. Poi m'accorsi che quel giorno non l'avevo veduto, non mi s'era avvicinato allungandomi zitto lento il pignolo, che me lo sentivo amico. Lo trassero fuori dalla gabbia ch'era morto. Lo chiamavano Giovanni, e pur se nessuno l'ha saputo, io che son lucarino le capivo: quelle sbarre che si portava ovunque, non ce l'avevan ficcato, come me un giorno. Lui c'era nato.
NOTICINA LUCARINA di Karoline Knabberchen in Engadina Ricordando quanto Silvio Guarnieri ha letto ieri di Giovanni Boine, e che ho registrato assieme all'intera lezione, che scrive all'amica Adelaide Coari: "La povera Silietta ti ricorda e nella febbre farnetica di scriverti le tanto importanti avventure dei suoi due gatti che son proprio canaglie. Le hanno ucciso il lucarino..."; ho scritto, voce narrante Giovanni Boine, quanto puoi leggere, Fabio mio, e ci sono le sbarre del poeta portorino, imprigionato dalla malattia, la tisi mortale, e da complicanze tra l'economico e il sentimentale. Ma il tutto voglio valga come omaggio, politico, ai compagni pisani, tuoi amici, Fabio, ora nei carceri speciali, che forse mai più avranno ancora libertà di volo. (1979)
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