:: Accio e Cardellino: Occhi vittoriani a Vicenza. Maiolica e lenza. (1-8 dicembre 2019) |
Questi occhi di Sara Cardellino a Vicenza li ho fotografati con la Leica C-Lux Midnight-Blue nel blu serale dallo schermo del pc portatile. Questi occhi del presente mi ricordano la maiolica per levigatezza. Però la foto ha aggiunto micro fratture, tipiche del vasellame, sulla fronte tra le sopracciglia e l’attaccatura dei capelli. Casualità che regge quanto vado scoprendo. Tutto lo sguardo si impreziosisce di smaltatura simbolica, giapponeseria?, orientalismo molto vittoriano? Contemporaneità duemila che ogni volto fila e sfila? Ritratto con occhi che mi guardano nel passato che vissi lo interrogano lo spiegano. Perché questi occhi maiolica nel solo particolare della fronte sotto scuri capelli - lo impone la scelta iconoclasta di Sara - mi consegna quanto col ritratto pensato intero posso curare per il fotografo che un tempo fui, Fabio Nardi, ed episodicamente per lei ancora sono. Da fotografo, Fabio Nardi, ricordo i ritratti perduti che scattai. Negativi e stampe a Guarda, Engadina. Tutti furono distrutti, e la camera oscura lì organizzata devastata, a fine 1984 dalla madre, Gerda Zweifel, di Karoline Knabberchen (Guarda Engadina Svizzera 1979-1984 Isola di Austvågøy Lofoten Norvegia). Restano poche stampe a Vecchiano soffitta cascinale. Ogni ritratto, anche questo, vive nella complicità, dell’attimo poi perenne, tra soggetto e fotografo. Sara Cardellino pensa che ogni autenticità, oltre alla violenza della cattura, sia inattuabile e che il velo tra volto e obiettivo non sia possibile superarlo. Quindi non offre alcuna complicità. Simile a KK in questo con Fabio Nardi. Ma è proprio questo atteggiamento che permette all’atto meccanico del click di avvicinarsi al soggetto, Cardellino, di accedere all’incontro con me, fotografo, fiducioso - Cardellino sarà un briciolo fidente? - che accolga un riflesso del mistero occhi di maiolica. Pupille nere. Dell'amata. Se, come penso, soltanto le telecamere di sorveglianza sono imparziali, soltanto le foto degli sposi all’altare lo sono altrettanto, si necessità superare questa "imparzialità", che genera foto sbiadite e banali, cercando il massimo di mimetismo con l’altra, con Sara. Con la sua apparenza occhi essenza sguardo. E l’imposto, da lei, particolare da fotografare ritagliare facilità l’azione. Riesco a dare parola allo sguardo su di lei nel presente, su di me guardato nel passato. E guardandola posata la Leica dopo lo scatto tento di darle il mio sguardo senza meccanica digitale sul suo tempo prima di incontrarmi e dopo. Troviamo non Una identità, di sguardi, ma Due. Ed io fotografo non appaio lei neppure intera. Sara qui a Vicenza, i suoi occhi interrogativi maiolica si rivelano fieri e coraggiosi. Lei è così. Indipendente fino al punto, in questo nostro stare a pari di fotografo e fotografata, di rifiutare ogni connubio estetico all’immagine. La sua è una partecipazione anarchica in dignità di donna. Il suo rifiuto di essere fotografata collima con la convinzione che ogni meccanica rappresentazione, ad eccezione del suono della musica conduce l’individuo non più alla singolarità, bensì all’uso su sé stesso di forme di realizzazione massificate e pertanto di consumo. Senza alcuna finalità né politica né ideale. Come darle torto nell’epoca dei social dei media di Instagram e varie app? Però la maiolica è forte. Questa fotografia è fatta per durare. E con monella astuzia con citazione virandola nel seppia cerco la benedizione della donna fotografa Julia Margareth Cameron. Dell’epoca vittoriana dove per trovare l’Equilibrio - se uno guarda chi nella foto ci guarda - c’è necessità di stare sul filo sociale psicologico poetico senza dimenticare che quanto conta è l’Umano. Ed io e Sara abbiamo vissuto e viviamo un’umanissima vicenda tra tante che non sono rivelate, in questo momento vicentino, né da una foto scaltra nata dal mio mestiere né da qualche scrittura teorica sulla stessa, da un’estetica flash come la mia; però come aggiunge il Cardellino per essi, che non conosciamo, per tutti, più di questa foto più di ogni poesia vale il suono. Pertanto la superiorità della musica.
Aveva ragione o no il prode Arturo Sciòpenhaure come lo chiami tu, vernacoleggiando, eh Accio? Ridiamo felici ed usciamo nell’aria tersa, maiolica, di Vicenza.
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