:: Silvae Lo: Dallo studiolo pedagogia bolo per marito al volo. Ovvero come l'istruisco pedagogicamente. Le origini. 1990 |
Nell’appartamento di Sondrio, con terrazza sui tetti, nella parte settecentesca della città, avevamo studi separati - non voglio esser contaminata dal tuo caos né essere incolpata per un foglio smarrito o al peggio diventare la cameriera spolverante tue polveri e molliche -, il suo, Silvae Lo, ch’era più ampio del mio, lo battezzò “studiolo” con vezzo umanistico. Da lì giungevano verso il mio tavolo, preda d’accidentato disordine, da dove lanciavo s.o.s. a me stesso inascoltati, note di pedagogia della maestra istruenti il marito digiuno in scienza dell’educazione delle origini, che poi era la specializzazione, della moglie. Le cui competenze, pedagogiche e di storia della pedagogia, tornavano utili a centri di ricerca, stanze del provveditorato, esperti ministeriali, che raramente la citavano, o la remuneravano. Se glielo facevo notare mi rispondeva: “Sono una signora, non necessito di diaria, e faccio della beneficienza. L’importante è che in provincia si attivino sperimentazioni nelle materne ed elementari per il bene dei bambini delle bambine”. Battezzai con titolo ironico queste conservate schede, riconoscendone il valore per come venivano scritte e composte: “Dallo studiolo pedagogia bolo per mio marito al volo”. Abbraccio, bacio, sorriso, divertimento. “Sei un titolista nato” disse “comincio a sospettare che non leggi tutto quanto t'invito a studiare; ma cogli l'insieme come lavorassi a rivista o giornale verso frettolosa stampa. Viri nell’umoristico, le frequentazioni coi fumettisti del Male e Frigidaire ti son servite; riassumi l’intento mio ch’è, ahimè, amorevolmente illuminista”. A ripensare a quanto più o meno mi disse Sivae Lo, scopro che tempo dopo, Sara Cardellino avrebbe battuto sullo stesso tasto. Pertanto mi dico: “Sì! titolista maramaldo che suoi amori tiene al caldo” Per me il Bolo era qualcosa che masticato doveva essere inghiottito, nutriente; ma Silvae Lo aggiunse che Bolo era anche liquido curante iniettato in vena. Non lo sapevo. “Sei ignorante su molte cose”, mi disse superba. Al che risposi: “Lo sai cosa fa la la vitella, Silvana?” -Sì, mastica il bolo, lo cala in gola, lo fa tornare in bocca sotto ai denti. Cosa vuoi aggiungere Claudio? -Che sei la mia vitella in camporella e io toro che ti monta dopo la lezione bella! Il più delle volte, quasi sempre, finivamo amanti sposi nel boudoir-studiolo-alcova. La pedagogia diventava vitalistica. Pure con fotografia, la terza, mai esposta , dei corpi nel coito: “Nella tenda di Diderot a te mi do”. Era il 1990 a Sondrio. |