:: Karoline Knabberchen: Chiaro schellinghiano Scuro. 40° della morte. |
Lo so, la gente vuole risposte e, in definitiva, qualcosa di ragionevole con cui ristrutturare le stanze disusate della propria esistenza o con cui arredare gli angoli bui e vuoti, dove ci si reca malvolentieri. Si vuole della semplicità: cose non troppo complicate, luoghi non troppo scuri. Ma io sono respinta da tutto ciò che è semplice, limpido, ragionevole; sento che tutto ciò che è semplice, limpido e ragionevole corrode dall’interno, come un tarlo, la materia della mia anima, fino alla polvere. Tutto ciò che è ragionevole non m’interessa. Quando il mondo s’appresta a incorniciarmi perché mi stringo il seno voglio ch'esso sia immerso nel riflesso opaco d’una gravità senza fine. Mi guarderò cadere e basta. Nei corridoi del cascinale vecchianese di Fabio nessuno ha più autorità di me sul labirinto che immagino adattato alla mia presenza. Trovo entrate e uscite con la facilità con cui da piccola sillabavo le tabelline. Ogni finestra spalancata mi conduce a ciò che infinitamente mi divide dal resto. La mia filosofia in questi complicati andirivieni diventa il totale abbandono della razionalità per la ricerca dell’abisso. Sono esoterica e in vacanza, saltello a passo di danza, chiacchiero fra me in rima (imitando non il classicismo bensì il vernacolo) e per ridere mi dico: “Povera schellinghiana dalla testa vana”. (Quaderno custodito da Fabio Nardi. Senza data) |