:: Karoline Knabberchen: Ermeneutica del disastro. 40° della morte |
Karoline Knabberchen (Guarda Engadina Svizzera 10 aprile 1959 - 1984 20 agosto Austvågøy Lofoten Norvegia) Foto Fabio Nardi “Biancore d'alba sulla spiaggia”. 1981 Karoline Knabberchen ERMENEUTICA DEL DISASTRO dalla "FILOSOFIA DA BAITA" Solo una piccola consolazione: quella di essere il negativo di Gesù, di essere il male, il limbo, la crisalide; noi, l’inferno, gli irredimibili, come lui siamo la sostanza dell’umano disastro? Egli ha tracciato così un solco incolmabile con l’uomo - altro che imitazione; un’infinita distanza ci separa da Dio. Gesù? Per ascendere ha dovuto liberarsi del suo involucro. Come il bruco che diventa farfalla. Bisogna prendere Kierkegaard, la malattia mortale, diminuirla con Dagerman, farne cioè un bisogno di consolazione, e poi portare tutto al limite, all’infinito, fino a trasformare la malattia mortale in una malattia inguaribile. Quindi inguaribile, sì, ma debole, una disperazione debole, cronica, coestensiva al fatto stesso di esserci, che conduce fatalmente a morte, ma solo dopo lunghe stagioni di titubanti patimenti. Non si tratta proprio di disperazione, non è la malattia mortale di Kierkegaard. O forse ..., ma solo nel senso che essa è la disperazione come infinito bisogno di consolazione. Sottolineo ovviamente l’aggettivo “infinito”. Esso sta a significare che questo bisogno è una malattia di cui non si dà guarigione. Eccolo sfiorarti appena col suo dito in segreto. Ho sempre avuto il sospetto che la vita fosse un disastro. Ebbene, a questo disastro non si può porre rimedio. |