:: Karoline Knabberchen: Consumo. 40° della morte |
CONSUMO La solitudine con cui si muore è tutto. In effetti nascere è un atto banale, l’esistenza si annida nel morire. Nonostante gli sforzi eleganti e spesso convincenti della stupenda Hannah Arendt, molto probabilmente aveva ragione l’antipatico e per certi versi ripugnante Martin Heidegger: la vita è il morire puro e semplice, il morire come tale. E tuttavia mi pare che sia possibile aggiungere dell’altro. Se la vita, come pure voleva Proust, è una corsa verso la tomba, allora essa è in qualche modo anche il più alto dispendio, il più grosso spreco che si possa immaginare. Nietzsche si esprime pressappoco in questi termini: verrà un giorno - ed è domani - in cui dell’uomo della donna non resterà nessuna traccia, puro evento senza testimoni. Il senso di questo momentaneo rilucere non può quindi essere “morale”, un tale senso deve risiedere nel lucore stesso, nello scintillio, nello spegnersi, nell’improduttività di quella fiammata che noi già sempre siamo. Tolta quindi l’ipotesi della produttività, perché ogni opera è destinata al fumo, non resta che la sovrana solitudine del consumo.
La mia morte s’allontana nel silenzio di un oceano tanta superficie sarà specchio contro il vero della perfetta inutilità d’esser vissuta. |