:: Accio: A Trieste al Cardellino rivelo sul Molo Audace quanto mi piace nel gioco


Bacio sul Molo Audace - Trieste - Gennaio 2020
 

(Se siamo a Trieste è perché tutto è ri-iniziato da questo dialogo telefonico dopo 5 anni e 5 mesi di separazione il 20 novembre 2011 a Villa Malcontenta. Dalle parole di Sara il suo nuovo soprannome da ESSERINO, 2009-2011,... a CARDELLINO. "Per la prima volta un Cardellino salverà un Falco ferito",  clikka "SONO IN PERICOLO SARA. HO BISOGNO DI TE. Fine febbraio 2017 - Questo "gioco" dice tutto, ma proprio tutto, sull'amore alla nostra latitudine. Vale cento volte quanto scrivo di seguito vale più di ogni libro da leggere da scrivere da studiare. Vale come DESTINO. Se L'Olandese Volante - 9 gennaio 2017 - non fosse stato spinto al naufragio sorprendendomi nell'angosciante dolore, non sarebbero giunte a me queste parole in luce).



ACCIO

A TRIESTE AL CARDELLINO RIVELO SUL MOLO AUDACE

QUANTO MI PIACE NEL GIOCO

CHE VALE TANTO VALE POCO

 

Non mi sono mai consegnato ad alcuna vita intellettuale. Perché per me poco vale. Stando in giro o stanziale mare alpino dimorare parigino o in Engadina pellegrino un tempo ho chiacchierato e chiacchiero con chi svolge mestieri i più vari. So molto di donne uomini auto animali piante uccelli idraulica sartoria fabbriche uffici malattie perché da una vita imparo da chi lavora con le mani col cervello ricevendo salario per la sua forza-lavoro. Anche frequentando il cimitero der mi’ paese. I rimasti che raccontano vivi dei morti. Gente non illustre che ebbe lo stesso poesia e dramma e comico ed estetica nella sua vita. Perché la modellazione il capitalismo te la fa anco se stai fermo ‘ome ir pioppo. La condizione della classe operaia nella mia terra, intesa come esistente, parafrasando il celebre libro di Engels.

Però con chi amo chiacchierà, se me lo chiedono dandomi l’attacco giusto ‘ome nella musia, di ‘ome intendo ir mestiere di traffià nei generi illustrati vari, tento di rivelallo. La Donna d’Engadina (1959-1984) e la Donna di Venezia, oggi con me sul Molo Audace, dove tento audacemente di rispondere, m’ànno dato il “binario giusto” dove transità il pòo mestiere che ebbi che ancora ò, con quarche lucidità nella cardaia der còre nei tempi per rionosce stazioni transitate e paesaggi traversati, compresi i freni per fermammi.

Oggi questo Molo con alle spalle la Piazza d’Italia grondante anche retorica patriottica. Tanto che pur’io faccio il soldato invecchiato qui sceso col su’ ‘arbone pòo peso.

E devo scomodà la mi’ idea di gioco, giòo mutuata dai maestri. E se riordo bene ne parlai, già, due anni fa ar Cardellino al Campo della Barra in quel di Vecchiano-Missouri (clikka: "Se tutto rivela il grano dandoti la mano...", ‘ome mi son gioato lo sterno or aquilone or spiga di grano.

Che ir gioo s’intrecci all’estetia è storia 'onosciuta. Per aggiungici uno zinzinino di mio devo ditti ‘ome il mi’ Io ed Es ci nòta. Stando sur mare Adriatìo sur Molo triestino forse ci riesco ar volo destino ‘ome uno di esti gabbiani che chiappa pesci sani mentre i mia son lische e pòo ossigenati. Ma ci tento ‘Ardellino. Perché mi chiedi come giòai e giòo coi segni standoci ‘on gli impegni verso te e chi mi vòr bène. 

Ner ‘oncetto di giòo è impricita l’idea di ‘ompetizione.

Con chi ‘ompete uno ‘ome me che nun volle nun vòle gioàssi la ‘arriera artistia ner ‘apitalismo borghese?

Nel giòo l’avversario ci vòle, il rischio gliè necessario, sennò che gusto c’è?!

Ma su questo dirò quarcosa dopo.

Intanto devo ditti perché scersi fin da adolescente ir giòo estetio che fossero aquiloni fionde disegni sui banchi di scòla ner granaio sull’incerato del camion di mi-pà.

Perché il giòo estetio rispetto all’imprevredibilità der reale si svòrge in un perimetro già determinato in anticipo: c’è la totalità delle regole e delle libertà di scelta. Ciò è specchio della vita reale epperò senza l’imprevedibilità del fato che non t’annuncia arcuna burrasca. Ner giòo ir tempo bello o brutto s’annusa s’intende osì come ello bòno. Mi spiego ‘Ardellino?

Fu ir Wittgenstein a formulà esta teoria elencando tanti giòi invitando a ravvisacci interrogazioni in cerca di spiegazioni. Se ar posto di giòo ci mettiamo arte suggerisce l’artiolazione si move per fa’ intende parecchio.

Poi venne Nigel Warburton che appriò le asserzioni dell’austriao al ‘oncetto filosofio d’arte insistendo sulle somiglianze e sovrapposizioni a lasagna se le ‘ose gioate l’appelliamo arte.

E tornando al rischio a gioà la propria partita ‘osa bisogna mette in ‘onto? Se prima di filosofi de’ libri der pensiero ‘olto e fino ci metti un rigo di Van Gogh dove scrive che ner su gioò pittorio rischia la vita la salute e di perde ir cervello ne avrai la Misura. ‘Ompreso ir danno a sé stessi se pensi all'arsenio ingurgitato e vomitato nell’isoletta der Pacifio da Gauguin per morì in fretta sentendosi un fallito.

Ecco, Cardellino, esti due pittori presiedono ar mi’ giòo. La prediazione matta d’un ‘omunismo evangelio per mangiatori di patate e per i ‘orvi sur grano. Ma anco l’avventura servatia ai ‘onfini der mondo vivendo l’eros e ir segno ‘olorato libero da tutto: dalla religione ‘ostrittiva ‘oloniale dalle gallerie voraci dai critici dementi e pure dagli Emile Bernard parigini fintamente servatii che si nominano seguaci, senza tu volello, e poi ti tradiscono e t’agguantano i segni che inventasti nominandoli propri e portandoli dai còlti intellettuali e fanne mercato. Ner mi’ giòo, nel gennaio 2017, ho avuto il mio Emile Bernard alle ‘ostole. E se non c’eri te, ‘Ardellino, ir veleno m’avrebbe ucciso giòo e vita reale.

Nun devo dimentià, non lo dimentierò, ir prezzo che m’à dato da pagà ir gioò a me. E alla mi’ stirpe.

Ora vo’ a finì ir mi ragionamento. Con artri due maestri. E poi mi fermo. Ne avrei artri ma l’elenco basta.

Ner giòo s’impone che tu vinca o te stesso, se lo fai in solitaria, o l’avversario. Ci sono le regole a stabilillo. Non se ne po’ scappà da esse.

Non si può. Ma mutalle sì. Eccome!

Per la su’ natura buffa, allegra, scherzosa, ad aiutammi a cambià le regole der giòo, scoprii Man Ray. Le ‘ambia in ogni genere estetio. Scritto disegnato e mi garbò tanto nella fotografia. Le ‘ose ‘omuni con aggiunte sottrazioni o cambiandone uso le rende arte. Doppi sensi corto-circuiti linguistici sovvertono le regole mantenendole in piedi: cambia l’agire nel mondo delle ‘ose rese in arte. Che sia un ferro da stiro coi chiodi o l’Enigma di Isidore Ducasse. Dove ribaltando metafore metonimie e gioi semantici sovverte nel ludio nel canzonatorio le vite letterarie estreme coi parenti. Così ci s’imparenta, Sara coi maestri, come Lautréamont o Rimbaud o Boine. Non con poemi tromboni con enciclopedia Treccani per decifranne un verso. Questa pratia estetia è rédiola e inutile ar gusto ‘ome minestra ‘on le scarbatre di lago tutte lische.

A scivolo, a pari, al Man Re del paradosso gioato artistìo regolato sillabo: Marcel Duchamp.

Le regole estetie diano che devi produrre con le mani un oggetto una ‘osa una merce da esporre vende museà e gallerizzà col critio a giudìa.

Ma se ‘ome fe’ Duchamp per primo non mòvi mano non tocchi ‘olore scarpello ‘arta tela ma usi sortanto ir gesto der pensiero che nun lascia traccia se non una battuta, un rigo di lapis, un utilizzo diverso de’ materiali trovati, beh, ‘ome lo mercifii tutto ciò? È impossibile. Poi anco tené tutto nella testa ner còre: e rivelallo alla persona vicina come facevo con te nel 2010 e fo dieci anni dopo: fotografie pensate non scattate, versi detti orali non trascritti files, pitture descritte non realizzate, ‘apitoli di romanzo detti ar ‘amino sur divano senza dagli forma in libro. Senza ir mi’ Duchamp esto non l’avrei potuto fa’. Poi se però mi chiedi con gl'occhi belli o la voce melodia di riavanne forma lo faccio ma-mi garba anco nun riavanne nulla.

Ma c’è anco quarcos’artro da ditti.

Duchamp fu artista e gioatore di scacchi. Gioatore per una vita. Senza più produrre nulla in arte e tenendo ir Grande Vetro a imporverassi in soffitta. Ma… seguimi ‘Ardellino ner ragionamento. È come gioatore di scacchi che mi garba. Duve ò trovato ir mio giòo estetìo. Seguendo ir suo.

Duchamp giòa a scacchi non per vince l’avversario ma per inventà mosse che inserite nelle regole portino allo STALLO. Al fine partita che non può per sua natura finì. Senza trovà soluzione se non riominciando un’artra partita. Sottraendo osì il gioò alla sua tangenza col reale che chiede un vincitore. Un successo estetio. Un artista che vende ir su giòo vincitore.

IO SONO QUESTO GIOCATORE.

Lo vedi’, Sara, se non ci fossi te, con me, qui a TRIESTE, non troverai mai questa lucidità di ditti ‘osa sono e ‘ome sono. Non sarebbe nemmeno necessario. Come lo è. Oggi. Qui.

A volé fa ir semicolto possa anco aggiungere questa ‘osina. Che ti fa intende che prima, per me, del filosofo viene l’artista, e infatti ti dio:

Duchamp supera, o meglio per me gliè stato più utile, di Lacan! Ecco ‘ome te lo sintetizzo. Il francioso afferma che l’opera d’arte sta nell’ordine del Simbolio, dunque antitètia all’ordine del reale; invece Duchamp è più sottile, anco più adatto ar mi’ vive, fondamentale se penso all’Amore al gioco d’Amore, perché egli si mette nel Limen tra Reale e Simbolico, così che l’oggetto giocato d’arte assume senso da entrambe le possibilità.

Ho finito la prèdia audace. Un po’ mordace per certo fallace. Ma à attizzato verso te ogni Brace!

Ora se me lo mèrito, dammi un ber bacio triestino, ch’ò fatto sforzo audace a definimmi gioatore, rima, per amore. Tornato qui, su questo Molo, dar marzo 2011 che vi venimmo. E se ci separammo, ner novembre a Villa Malcontenta, non è perché tu non avevi inteso come gioàvo, perché ti garbava ed era adatto pure a te in musia, ma perché cercavo di vince la partita invece di trovar stallo o di perdìla per salvà la vincità der bene de tu’ occhi musiali. Mi c’è voluto parecchio tempo per intende le regole, son chiorbone, ma alla fine ò inteso.