:: Sara Cardellino: Leggere Emily Dickinson nella propria camera, ricordare Torre Del Lago-Puccini nel febbraio 2011 |
Sara Cardellino In questi giorni di prigionia casalinga nella Venezia deserta frequento poesia di Emily Dickinson. Se già sai la mia devozione verso la scrittrice Emily Brontë e il suo unico romanzo e il suo unico vivere rinchiusa nella casa paterna potrai comprendere la simpatia verso la poetessa americana e il suo unico abitare una casa nel Massachussett e in seguito ancor più nel ristretto: la sua camera per ventisei anni. Delle 1775 liriche che scrisse soltanto sette vennero pubblicate prima della sua morte a cinquantasei anni nel 1886. Non ho niente da aggiungere alle traduzioni alle cure che ha ricevuto da studiosi e studiose di vaglia, da traduttrici competenti e amorose. Posso soltanto dirti che mi dona consolazione: leggerla: che mi fa tornare alla mente una fotografia, all’aperto, a Torre del Lago-Puccini, che mi scattasti nel 2011: era febbraio: e lo stesso avevamo raggiunto la spiaggia. Deserta ma con luce d’infinita complicità per le mie mosse stivali gonna lunga. Mi ricordo che recitai la “grulla” in qualche posa. Però piangevo. L’hai conservata? Non ti sorprenda questo frammento esistenziale, probabilmente incongruo, accostato alla vita di Emily Dickinson. Ma penso, oggi, che quel lacrimare col mascara sciolto sulle gote mentre recitavo mosse facete, grazie all’amante fotografo, avvicinai l’universo descritto dalla Dickinson come insiemi di naturalistica sostanza. Pertanto sabbia acque schiume onde impronte furono, ancora lo sono se ritrovi la fotografia, concreto linguaggio quotidiano dilatato verso l’immenso. Ho convinzione l’immensità la si scopra in camera: Dickinson scrive: “Il paradiso è nella mente”. Lo si può immaginare tra quattro mura e trovato l’amore anche perso l’amore cercarlo, in frammento, all’aperto sul mare, ciondolando piangiolente con scarpe inadatte sulla sabbia. Emily Dickinson dialogava con Dio, meglio lo fronteggiava nelle Sacre Scritture, fino a definirsi “monaca dissidente”, e tale sforzo le s’imponeva dal suo ritenere necessario “togliere il velo” all’Apocalisse in atto tra vissuto domestico, con sua turbante melodia ,e la bellezza del creato. Un’oscura presenza demolitrice: di questa armonia. Se ripenso a noi due sulla spiaggia capisco di non avere alcuna stoffa da monaca né tu quella di teologo: però che ci sia in giro qualcosa di “apocalittico” è sensato immaginarlo stia raggiungendo l’acme. Mi spavento: e cado sulla sabbia e nessuna fotografia, nel suo infinito presente, può rivelare l’aiuto che ti chiedevo. Lacrimo con Emily nel chiuso della camera. Ti chiedo di sorreggermi. Stavolta lo farai. Senza necessità di fotografarmi
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