:: Claudio Di Scalzo: "ELEGIA" di Sergio Corazzini con tomba e quanto illustrato fiorito rimbomba. Anche grazie a Little Tony. 1978. Prima parte. |
Dovresti raccogliere quanto hai scritto e disegnato per Corazzini, Claudio. Mi sollecita Sara Cardellino. Al che rispondo che come i fiori di plastica che allora posai sul ritrattino, forse che sia disperso nel Niente, con Sergio, è destino di critìo senza patente.
Sergio Corazzini ELEGIA (FRAMMENTO) 1906
Senza data la plaquette ELEGIA di Sergio Corazzini, tante fitte, viene pubblicata, 1906, nell’intervallo tra PICCOLO LIBRO INUTILE e LIBRO PER LA SERA DELLA DOMENICA. Tasto questo callo callosità “giaele” dura ; nun saprò ‘ome andrà: so-sob che sarà pura. Cumme ogni malata dis-lettura decotta-decostruita. Tanto gliè perduta onni vita di chi scrisse scrive sempre porti a casa pive ner sacco: u’ saccio. Nell’incrocio-croce della poesia nell’intersecarsi, ahì ohi punge ancor nun defunge, convergente tra misura prosodica e temino interiore-interiora, si palpi, cumme fa o’ duttore, l’articolazione strofica di Elegia (Frammento) e ditti-mì dio-lo fo di necessità, ch’esta l’è emblematica e funzionale (per chi? Pemmmé ovvio) svoltatura ner motivo della malinconia, nervi danzanti, crepuscolare: ‘Orazzini lo ‘ompie rallentando (sì ma fino a quando?) il discorso poetico enfatizzando (sì, ma per quanto!) il frequente uso della virgola (martelletto sul dente della voce-lingua-esangue?). La cingomma dell’iterazione assidua ovvero chewing gum tumb tumb tomba se giòo ‘ommosso alla Palazzeschi fiori fiorentini freschi (oggi ner maggio der 7 anno 2025 posso aggiunge alla gomma lo slash, o splash issà salivale, in barra-bara finale con o senza url-urlo) vien marcata-stretta da gruppi-groppi semantici. E della connotazione der ‘ampo onomasiologico relativo al pianto, che ne fémo, al centro della dislettura o in un canto? Mi sembra, cun la mi poa tempra di crit’io cretienne che basculli una tonalità emotiva, sì sì critìo lo scriva, dice l’ombra der morto giovincello CorazziMI strazi, ectoplasma nella seduta spiritìa della mì critìa, che s’impegna si segna me lo segno: nella tonalità emotiva composta di rassegnazione regressiva gravitante, ò duve va? Duve s’appiccìa, verso il tema espricitato a su tempo con altro nerbo-nervo-stile-stille piangiolenti ma contadinesche, dal Pascoli: COMPIANTO per l’infanzia ignara, metà sogno cui agogno, pur’io che scrivo ner 1980, sotto la panca critica letteraria che arranca metà florilegio, ad affidarcisi rende mogio, sulle illusioni: della vita: cumme na’ vite s’avvita nel legno bagnato di lacrime o stagionato. Esca perdìò, critìo opaco nell’io balbuzie Joyciano e s’affidi al Jammes, che conduce Corazzini palpebre fini presto cucite dalla morte all’equivalenza, ci pensa critìò vecchianese? Le fa da lenza invece che sul Tevere sul Serchio?, semantica di TRISTE e DOLCE. Aggettivi della covata jammesiana. Nella seonda strofa ecco che cova il tratto d’unione storta fecondazione del passato/presente. Allora “giorni che la tristezza esiliò con le favole” nel presente la malincònia-conio tri-tri-tristezza spille sul petto di pezza (tisi per smunti visi, neh) apre all’elenco oggetti ex lucentezza della terza strofa. Nella bottega annerita vecchi mobili-abiti che al rintocco dell’ora crepuscolare van a morì nello speco senza spreco similmente ai fiori recisi nel vaso simbolo del viver d’ogni esistenza tarlata nel caso-kaos. Finito l’elenco dal sorriso frammento pencolo. Io povero Sergio e profferisco sottovoce: sorriderai. Tu giovane danese con la guarigione (riuscirà) alle prese.
E se mi sporgo nel futuro e ascolto la canzonetta di Little Tony “Riderà” ghigno che tu-TANIA, giovane danese conosciuta in questo sanatorio di Nocera umbra, che tuba-turba, io ti lascio alla sua materiale, oggi, inconsistenza, perché essa è la Morte che hai scansato guarendo: sorriderai, riderai, e la ballerina scheletrina verrà invece da me. Inamidata trina. Eilà, ecco il filmino postmoderno per il poeta bambino. Ci mancava Little Tony canterino. A scriverne che sciocchino che son qui inframmentato critìo con l’infradito sur piede scalzo-scarso. sarà come se tu cantassi una (Corazzini a Nocera Umbra cerca clima per reggere salute tarlata dalla tisi Nocera Umbra ma sa che più in là non andrà: scrive all’amico Guido Sbordoni: “Io sono così debole, così fanciullo, e tremo d’angoscia, ora tremo perché il male progredisce sempre, sempre e domani non potrò uscire…”.
Al verso cinquantadue, s’io che interpreto da prete scomunicato del crepuscolarismo, ‘ome fossi un bue, rampolla la facile coppia, s’accoppiano, di TRISTE ET DOLCE, e s’accoppia pur il suggello passato e futuro, nella impura dolcezza del presente scardinato da passato scontornato e futuro mancato. Dolcezze, mancate carezze, se ci son state sflautate anco perché idealizzate che dilatate son ramo o se ancor t’amo morente in esta coscienza regressiva che di tutto mi priva e te pur der mi’ riordo se resterai viva. Le apparenze, pericolose testuali lenze, stan nel presente contraddetto da forme verbali coniugate al futuro che non ci sarà: sostanze verbali terminali da sinuosità Art Nouveau che invocano si storcono si bisciano nell’attesa. Per me Sergio è una resa. Epperò in ELEGIA se po’ far la spesa stilistica. Astuta e mogia. Coerenza elegiaca gomma estesa ininterrotta (gelo che scotta?) nel tempo languore mortale còre premuto pedale! Insistenza del pianto sur petto che ponza ponza ponza. Prevalenza, ehì che insistenza Sergio!, di parole-immagini slavate nella dimensione empirica-sensoriale. Nix concretezza. Monocorde ricorso al linguaggio fonosimbolico capei unti sudore tisi asciutti col phon elegiaco. Immagine-evocazione nel lentamente scartando dissonanze discordanti, oh se io e te Tania nel pensier fummo amanti oh che danze avrem vissuto che perdizione labbra d’amanti nei canti!, invece tutto è bianco. Opaco insonorizzato silenzio colore dell’inclemente terrestre tempo. MIO. Cento volte / passeremo per quella via che più / diletta a non so che malinconie / nostre avremo. Lungo i chiari fiumi / canteremo le più vecchie canzoni / e sarà dolce non seguirne il senso / Butto lì l’endecasillabo pascoliano, non sarà vano, ello preso dai Poemi Conviviali, perfetto lavabo. Enjabement prolunga allunga mi campa sospende. Punge o unge? Noteranno?, lo noterete? Lo noterai? Tania lo sopporterai? Critico episodico al sodio-sodo lo avvertirai esta GRAFICA dell’ELEGIA? Stampata in versi tantissimo-nel-finissimo esageratamente, tienilo a mente, spaziati: per coltivar risonanza nella pure narrativa sostanza! Spropositata invasione per tenzone tra il bianco marginale in alto e basso giocanti distanze minime rispetto ai vuoti vuoto salenti tra un verso e l’altro: ottengo la fissità del tempo mio quasi mortale e di chi legge la salute al riparo. Son buono fanciullo che dissolve le rigorose forme tradizionali dal di dentro: nella non confortevole tosse-agonia. Il bianco scavato lo vogghio enfaticamente in surplus di pausa-causa! Vaneggio? Si sì sì vaneggio. ELEGIA venne pubbriata a sé. Eccentr’IO rispetto al resto? Si e no. Circolazione venosa polmonare crepuscolare. Sì Contenuti soliti ripetuti fissati da bimbo poo sviluppato ner fisìo non nel linguaggio della morte paggio. Sì Tutto solito ordunque? NO. Il “Tu” usato scansa il facile relazionamento divenendo colloquio con l’anima tarlata tossente del poeta e fanciullante dialogo con TANIA forse me-malato-mi-ama. Ir TU gettato ponticello tra occhi aperti e occhi chiusi sogno travicello. Reclusione forzata privazione sopportata sospensione temporale valida casuale malattia terminale. E lo spazio? A chi paga dazio? Ovvio, alla fenomenologia limbica, quasi conventuale che al tempo mozza l’ale. A questo punto Corazzini e Tania e Critico sopra il rappo di fico, poo solido, prendon congedo. Riecheggia Little Tony con Riderà... tu falla ridere perché... che rompe il silenzio poetico. Tutti noi andiam nella semantica della sparizione scema (ogni morte e vita lo è. Sema di zucca seme senza speme, direbbe Margherita Stein ateissima fichissima.) codificando il vuoto, a capirli ci vuol poco!) |