CDS: Boine e Signora Morte 1 maggio 1917
Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte.
Il ritratto rimanda a come Giovanni Boine sta con la Morte accosto e come gli appare negli ultimi sedici giorni della sua vita. Qui elegantemente col cappellino e qualche particolare orrendo nel volto che strofina civettuolo su quello della sua vittima in poesia in tisi. La Morte gioca con chi è malato come il gatto con il topo.
Claudio Di Scalzo
GIOVANNI BOINE MORENTE
SANGUE STOINO CIPRESSO CHE TRAMETTE
(1 maggio 2017)
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Di rosso in questa giornata c’è anche il mio sangue. E tossisce ed espettora e macchia il fazzoletto e le lenzuola e gli cola pure sangue dal naso. Faccia rossa per festa d’un moribondo caduto dalla non transennata parola scritta e perlopiù pensata. La notte l’ha trascorsa nel delirio con immagini e spezzoni di versi senza costrutto senza logica alcuna. Un telegrafo impazzito dal petto dai polmoni verso chissà dove. A quel punto stando il suo letto davanti alla porta finestra con l’alba in arrivo, guarda la luce insinuarsi nelle fessure dello stoino, pensa proprio “stoino” come dicono a Pisa, e non persiana in uso a Porto Maurizio. Non se ne meraviglia. La morte scombussola i vocabolari il lessico la punteggiatura e i polmoni malati sono cattedra per libro rovesciato. Ma lo stoino gli porge un’idea portentosa. Il mondo attraverso lo stoino mi telegrafa bellezza e transitorietà. Devo registrare nei giorni che vengono questi messaggi, ci sarà anche quello di Dio. Per certo. La punteggiatura suprema o il tema già svolto dove noi siamo punteggiatura aleatoria ed errata spesso? Riprende a tossire, dolori lancinanti lo strizzano come cencio disfatto tra le mani del macellaio uso a sgozzare capretti.
Si guarda attorno. Solitudine completa. Chi diceva di amarlo e stimarlo, donna amata, si accavallano alcuni volti un tempo baciati ne risulta maschera patetica che sembra lo rimproveri; o amico che fosse, hanno fatto le valigie verso un’aria più salubre. Poi una volta morto se la caveranno con qualche custodia intellettuale dei miei scritti della mia biografia, con qualche preghiera; intanto sono in giro per consessi culturali, allegri, a discutere del mito greco nella pittura del giovane De Chirico, oppure di Sorel che modernizza Marx oppure visti i tempi nazionalisti a celebrare la missione italica nella poesia da aggiungere al garrire delle bandiere. Per vincere la guerra. I miei “Discorsi militari” oblieranno saltandoli a piè pari. Accenna una smorfia ridanciana ch’è grottesca sulle labbra insanguinate. Le rimette per mortali frasette degli alveoli alle strette.
S’immagina a recitare queste scemenze nel cimitero di Porto Maurizio una volta morto in qualche forma fantasmatica. No no no!, sembrerebbe una scenetta da scapigliati di terza categoria! Dev’esserci una presenza accanto alla mia tomba, immobile, custodente, attraverso la quale trasmettere ironia dispettosa sublime glaciale o metafisica danzante interrogativi sulla trascendenza. Guardò ancora lo stoino. La luce che lo colpiva a intermittenza. Il telegrafo dell’esterno verso il suo petto tutto interiorità malata e domani scheletro cenere poi nulla. Se non postura d’un poeta solo e martirizzato dalle gerarchie intellettuali con enfiate ali. Necessiterò d’un cipresso. A chi mi sotterra dirò che voglio un cipresso vicino alla pietra. Attraverso le fronde all’alba nel mattino darò a chi viene a trovarm: luce di parole aeree colorate dai riflessi. Darò poesia testamento frantumato mio ricordo se vorranno custodirlo. Dopo averlo inteso e decifrato.
Il cipresso trasmette luce come verrà intercettata
da Karoline Knabberchen
nel 1983 e da Accio con Sara Esserino nel marzo 1983
Affaticato nel sudore della febbre alta Giovanni Boine si sdraia sul letto. Incrocia le braccia sul petto. Frammenti, diciamo pure frantumi di mondo e luce, si posano sulla sua fronte. Sembra un santino devozionale. Lui lo sa. Tende a questa semplicità da povero marinaio da povera donna che raccatta il pesce avanzato invenduto al mercato. Non nasconde la corona di spine sul “ceppo inutile del male” che vive. Ce la posa. Sono L’Umiliato dal dolore e dall’abbandono, dai sentimenti che non vissi e che pure avrei voluto vivere e che furono equivocati come discorsi detti o ammiccati che strozzavano la libertà in chi amavo; vivo l’Abbassamento del Cristo nell’orto del Getsemani, il subito tradimento di chi amavo e frequentavo, che, però, benedico perché rendono possibile la Croce ultima, dell’Umiliazione, la cancellazione del mio ruolo di poeta e intellettuale - ogni scambio con essi affidato a prose e lettere e confidenze perde di senso non standomi vicini nel pericolo mortale - prima della salvezza. In totale nudità d’orpelli scritti.
Tasta, Giovanni Boine, con la mano il Vangelo di Giovanni aperto sul comodino. E prende a sillabare a rivolgere a voce la più alta possibile verso lo stoino il suo telegrafo di poeta che muore. Inventa una preghiera e lo fa in francese, forse è un estremo omaggio ad autori che tanto lesse forse è abitato da tante lingue e ne ha scelto una a caso.
CDS: Giovanni Boine il Primo maggio 1917 con la sua tosse mortale
Mon Dieu, je m’abandone
entièrement
entre tes mains,
pour que tu fasses de moi
et de ce qui me concerne,
ce qui te plaît le plus
et ce qu’il y a de meilleur pour toi.
En ce doux abandon,
je me repose sur ton divin cœur
comme un enfant se repose
avec tendresse
sur le sein de sa maman.
Pense toi-même à tout et moi,
je penserai uniquement à t’aimer
et à accomplir la très sainte volonté.