a cura Claudio Di Scalzo
Su L'Olandese Volante verranno ripubblicati scritti, brevi, di difficile reperimento degli artisti del Novecento e le cronologie, illustrate, dei movimenti d’avanguardia. Al di là dei saggi critici, spesso criptici, sugli artisti che hanno determinato la scansione all’arte novecentesca, conta leggere i loro testi e questi hanno l’efficacia inaudita del satellite che ruotando attorno al pianeta ne configura la grandezza.
Man Ray il funambolico dadaista che ogni tecnica piegò alla sua fantasia di eterno bambino giocoso e terribilmente sottile, scrisse brevi ritratti sopra i suoi contemporanei. Ne proponiamo due dedicati a Brancusi e Duchamp. Vista la presenza, anche nell’immaginario collettivo, delle opere di Brancusi e Duchamp ci affidiamo soltanto a una foto del MAN più metamorfico del '900. (Claudio Di Scalzo)
BRANCUSI: UN EREMITA NELLA CATTEDRALE
La prima volta che vidi lo studio dello scultore Brancusi mi fece l’effetto d’una cattedrale. Ero impressionato dalla sua bianchezza e dalla sua luminosità. A giudicare dalle aeree colonne delle chiese medievali, si può supporre che in origine l’interno fosse pervaso dalla stessa luce, che prendeva i colori delle finestre a mosaico e le proiettava sulla pietra bianca in un’orgia cromatica, invece della cupezza religiosa che abbiamo accettato dopo secoli di polvere e di sudiciume accumulati. Entrare nello studio di Brancusi era come entrare in un altro mondo, il bianco che, dopo tutto, non è che una sintesi di tutti i colori dello spettro, il bianco era perfino sulla stufa di mattoni e sul suo lungo tubo, ed era enfatizzato qua e là da un pezzo di legno di quercia appena abbozzato o dal metallico luccichio di una levigata forma dinamica su un piedistallo. Nello studio non c’era nulla che fosse stato comprato in un negozio, come mobili o sedie. Un solido cilindro di gesso bianco che misurava sei piedi di diametro serviva da tavolo, con un paio di ceppi d’albero scavati per sedersi...
Brancusi viveva come un eremita in quello studio nel cuore di Parigi. Soltanto un esiguo numero di amici devoti conoscevano le sue opere.
MARCEL DUCHAMP: UNA VITA PER GLI SCACCHI
Duchamp non possiede nulla, non colleziona nulla. Se gli regali un libro, lui lo dà a qualcun altro appena lo ha letto. Le sue opere si trovano per la maggior parte in qualche collezione privata o in qualche museo. Da quando, quarant’anni fa, ha lasciato la pittura, si potrebbe dire che la sua attività principale sia stata quella di giocare a scacchi perché la sua mente è sempre attiva, e gli scacchi non lasciano alcuna traccia di un’attività mentale per quanto intensa essa sia. Gli scacchi sono stati il suo programma. L’aspetto competitivo del giuoco lo interessa meno del suo aspetto analitico e delle possibilità che offre all’immaginazione.
MAN RAY