CDS: "Io non sono Jean-Baptiste Camille Corot"
Accio per Sara Esserino
FIRME FALSE AMORE VERO
(a San Valentino per intero)
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Jean-Baptiste Camille Corot nasce a Parigi sul velluto d’un mercante di stoffe e da madre modista svizzera. Colore e grazia del taglio e cucito. Pressappoco come me figlio d’un camionista che mercato faceva di grano e figlio d’una sarta bella e con seni grandi come Rita Hayworth. Corot s’impappina nelle letture classiche al liceo classico di Rouen, ma al termine degli studi, e corre il 1814 col va e vieni dell’uomo di Lipsia all’isola d’Elba!, è costretto a intraprendere il lavoro del padre, vendo stoffe come il mi' babbo, disse; però mentre liscia la seta pensa alla seta dei verdi smeraldo sopra corpi da evocare col rosa. Insomma la vocazione è vocazione. Però soltanto nel 1822, quando in Europa si motizzano moti liberali e in Italia carbonari, a 26 anni, che sguscia via dai rotoli e dai metri e dalle forbici e dagli spilli e dai manichini della famiglia e inizia a tenere nell’ombra del passo esistenziale suo pennello e tavolozza. Frequenta artisti come Michaillon, Bertin, Alligny, che si dedicano al paesaggio con eccesso di rovine neoclassiche e alberelli spenti sulle trecce di ninfe troppo in carne; e allora, Corot, impara da sé, autodidatta nel manovrar la tela bianca e adatta. Si lancia verso l’Italia, ed ungono le ruote della carrozza la massima di Constable esortante a seguire la propria natura, e dov'è che c’è più natura e cultura appresso che in Italia? Così nel 1825, in un settembre che sparge ovunque foglie e vento delicato sulle vesti, giunge a Venezia a Roma a Napoli. Corot si dedica alla pittura di paesaggio con un taglio molto personale, cara Rina Rètis, e se devo esser sincero ho sempre pensato che da buon erede di babbo tra le stoffe, Corot sa che l’importante è come accostare i tessuti. Stavolta non al tatto bensì al tocco dell’occhio e alla vista dell’emozione che solo per te, il paesaggio deve dare assieme ad altri cento che lo guarderanno. Spegiudicatezza e fantasia, spontaneità e calcolo degli effetti di luce. Ti ricordi quando siamo stati a vedere il Colosseo dai giardini Farnese? O il Tevere a Castel sant’Angelo che ho rammentato Corot? E quando ti ho detto che con i capelli tanto corti un’anfora in testa ti ci sarebbe stata bene? Ecco!, giocavo a citare Corot! E difatti tu hai risposto che siccome non eri di Narni, e non c’erano i lungarni fiorentini, che smettessi di industriarmi a baciarti, citavi altri dipinti. Corot è spontaneo - anch’io con sta’ voglia de baciatti ammore mio! de disegnatti! - genuino nella riproduzione dei soggetti, e mancano soltanto i cavalli al galoppo, ci son da fermo con cavaliere al limitar della foresta, per poter dire che ha dipinto Sisley anni in anticipo. Con il quadro Il ponte di Narni partecipa per la prima volta all'esposizione del Salon nel 1827; ma ritornato in Francia, mette il freno all’inventiva, sarà colpa della lontananza dalla zolla tosca? anch’io a Pisa e Lucca Rina mi sembra d’esser più fantasioso con la pittura e i baci e le declamate poesie naturalistiche sulla tua schiena e sul profilo di te nella sera!, ne convieni? e riprende a dipingere panorami dall'impianto neoclassico, con scene a volte bibliche, tutto un pot-pourri, mitologico greco-cristiano, dove pastori canterini e ninfette se la godono un mondo! nel mondo pre-industrial-tecnical per novo callo sull'essere!, fra l’altro alle porte in quel di Francia mentre pompa già in Britannia! Ritorna, sfibrato dal neoclassicismo un po’ insulso e alla moda, ancora in Italia nel 1834, dove son passati senza eco i moti del ’30 e del ’31 con qualche impiccato qua e là liberale!, meditando sullo “splendore del sole” mediterraneo e di quella luminosità dell'atmosfera, di fronte alla quale Corot dichiara: “Sento l'impotenza della mia tavolozza”. Visita città come Genova, Firenze, Venezia, soggiorna sui laghi lombardi, si reca poi in Provenza e nel Languedoc: il viaggio gli permette di dipingere opere come Firenze vista dal Giardino di Boboli. Ma anche se il suo stile si fa col tempo più pimpante, più attento “il disegno è la prima cosa da cercare, poi i valori; ecco i punti di appoggio: quindi il colore ed infine l'esecuzione” continua ad inviare - con somma astuzia - alle esposizioni dei Salon opere più tradizionali, più affini al gusto del pubblico; opere che nella coerenza pittorica di un paesaggio evocato con toni sobri, ricchi di grigi, di bruni, di sfumature perlacee, si negano a quel rinnovamento che sta già nei dipinti, di piccolo formato, presente nei quadri italiani. Quadri che tiene per sé, nascosti, che però lo nutrono e lo accalorano a tornare ancora in Italia. Sarà nello stivale nel 1843: qui dipinge i giardini di villa d'Este, Manetta, l'odalisca romana. La fai anche te Rina un po’ l’odalisca per me in attesa che la primavera fiorisca?
Tornato francioso Corot vien lappato dal successo in fronte. Consacrato definitivamente con l'acquisto di una sua opera alla Esposizione Universale del 1855, Ricordo di Marcussis, da parte di Napoleone III; buona mira del napoleonico terzarolo anche col secondo acquisto nel 1867: La solitudine. A lato, e c’è poco da dondolarsi sul ponte di Narni pre-impressionista, sono le sue vedute classicheggianti, i panorami a soggetto mitologico che ottengono riconoscimenti, da una borghesia ben vestita, in ottime stoffe fascianti poppe e glutei, che van sognando un’arcadia nuda e libera e altra ginnastica. Corot si fa campestre appena può, Rina, non si dondola mica sul Carso o sul pianerume dei dintorni di Vienna!, e quindi raggiunge i ‘ampi francesi, in varie regioni, fra il 1854 e il 1862, e segno ne rimane in tele e disegni. La mano è libera, si liberalizza, si fa liberale, nel modellare forma e spazio e la storia della pittura elencherà vari capolavori. Giochi di luce che i soliti ricercatori di antenati di Monet e Renoir di lui fanno il principe e il principio! Corot, in questi anni dipinge molto la figura umana: fanciulle e donne; piccoli dipinti di persone amiche di familiari; soggetti in atteggiamento assorto, talvolta incantato: Donna con perla (1868-’70); Giovane donna al pozzo (1865-70). Personaggi borghesi eleganti bansì misurati nella postura e che non sentiranno di certo le schioppettate, a breve, della Comune parigina, dove s’agita un Courbet rosso e matto comunista! Corot, in grigio e bianco, continua ancora freneticamente a dipingere nonostante l'età, ma tira fuori dall’atelier, per il Salon i paesaggi più luminosi, le vedute lisciate per anni con affetto e custodia infinita: sono il Ricordo di Mortefontaine e La chiesa di Marissel. A questi capolavori aggiunge, nella maturità d’un tocco inimitabile, eco dei tempi italiani liberi e godimentosi, capisci Rina che un artista va e viene in tutte le età, e in tutte le età amor di sé all’arte dà e a chi ama. Mi ami anche se non sono Corot? … Vuoi sapere il titolo degli ultimi dipinti:, svii eh, ti accontento, han per titolo Il campanile di Dottai che è del 1871, La Cattedrale e La Donna in blu del 1874. Un anno dopo, nel febbraio corto e benedetto, parte per sempre dal suo atelier. Biascica un rimpianto che ce lo rende tenero a conoscerlo. Ha il rimpianto a suo giudizio di non aver mai saputo fare un cielo: ”Ora lo vedo più rosa, più profondo, più trasparente: come vorrei poterlo rendere, per mostrare dove vanno questi immensi orizzonti!”. Ma come saranno stati, eh, i grandi pittori di un tempo!, eh Rina! che umanità. Corot sembra abbia aggiunto che lui nato in casa d’un mercante di stoffa, il cielo, con quella azzurra ce l’aveva sul tavolo o per terra, e a volte non guardava in alto, e questo, probabile sia stato un limite che ha pesato sul mio futuro di pittore. Per alcuni, presenti, bonariamente, vaneggiava. E invece stava confessando uno stile e come esso nasca nella biografia di uomini, appunto, dal cielo prescelti. Che fai Rina, ti commuovi? Vien qui che ti bacio gli occhi verdi belli! Che poi ti faccio la firma di Corot per ricordare questo nostro febbraio pitturato come si deve!