cds: "PP gessato bolognese" - giugno 2011
Pier Paolo Pasolini
OFFICINA
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922, l’anno in cui Mussolini con la marcia su Roma inizia l’attacco alle istituzioni liberali che condurrà alla dittatura fascista. Muore Tragicamente assassinato il 2 novembre 1975 presso l’Idroscalo di Ostia.
Nell’anno di pubblicazione del romanzo Ragazzi di vita, esce a Bologna la rivista “Officina” (1955-1959), di cui Pasolini è redattore, insieme a Francesco Leonetti e a Roberto Roversi. La rivista, presentata nella veste editoriale di un cartoncino da imballaggio come “fascicolo bimestrale di poesia”, propone un nuovo fare letterario, fuori tanto dall’autosufficienza ermetica quanto dal grezzo contenutismo neorealistico (malamente piegato ai fini della propaganda politica). Nei tredici numeri della bolognese “Officina” compaiono testi creativi di Roversi (Periferia, La raccolta del fieno, Pianura padana), di Leonetti, di Pasolini (I campi del Friuli, gli epigrammi Umiliato e offeso) e quelli degli “ospiti” Calvino, Volponi, Pagliarani: tutti documenti di ricerca che dopo tanta ermetica “purità” inseguono altrettanti modelli di poesia finalmente “impura”, invasa e contaminata dalla realtà e dalla cronaca. Agli anni bolognesi di Officina risale il poemetto di Pasolini La religione del mio tempo, datato 1957-1959, col vagheggiamento dell’antica “religione” vissuta dal popolo “allegro” e miserabile contro la Chiesa “irreligiosa” del neocapitalismo. Dall’Appendice alla “religione”: una luce (1959) pubblichiamo le terzine che riguardano la madre. (Renato Bertacchini)
LA “LUCE” DELLA MADRE
È una povera donna mite, fine,
che non ha quasi coraggio di essere,
e se ne sta nell’ombra, come una bambina,
coi suoi radi capelli, le sue vesti dimesse,
ormai, e quasi povere, su quei sopravvissuti
segreti che sanno, ancora, di violette;
con la sua forza, adoperata nei muti
affanni di chi teme di non essere pari
al dovere, e non si lamenta dei mai avuti
compensi: una povera donna che sa amare
soltanto, eroicamente, ed essere madre
è stato per lei tutto ciò che si può dare.
La casa è piena delle sue magre
membra di bambina, della sua fatica;
anche a notte, nel sonno, asciutte lacrime
coprono ogni cosa: è una pietà così antica,
così tremenda mi stringe il cuore,
rincasando, che urlerei, mi toglierei la vita.
Tutto intorno ferocemente muore,
mentre non muore il bene che è in lei,
e non sa quanto il suo umile amore,
-Poveri, dolci, ossicini miei -
possano nel confronto quasi farmi morire
di dolore e vergogna, quanto quei
suoi gesti angustiati, quei suoi sospiri
nel silenzio della nostra cucina,
possano farmi apparire impuro e vile…
In ogni ora, tutto è ormai, per lei, bambina
per me, suo figlio, e da sempre, finito:
non resta che sperare che la fine
venga davvero a spegnere l’accanito
dolore di aspettarla. Saremo insieme,
presto, in quel povero prato gremito
di pietre grige, dove fresco il seme
dell’esistenza dà ogni anno erbe e fiori:
nient’altro ormai che la campagna preme
ai suoi confini di muretti, tra i voli
delle allodole, a giorno, e a notte,
il canto disperato degli usignoli.
Bologna Transmoderna di Accio e Sara Esserino - Giugno 2011