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:: Rametto d'erica con Storm e Apollinaire a scuola |
21 Settembre 2013 |
CDS: "Immensee per sempre" - 20.IX.2013
STORM MIO NOM
Immensee per sempre da gennaio a dicembre
Claudio Di Scalzo
RAMETTO D’ERICA A SCUOLA
Mio cuor frantumato
nel tuo. Ripetuto addio
d’ogni giorno, da lontano.
Chi sta disegnando il luogo
dove c’incontreremo?
Apollinaire sta anche nel calco di una poesia letta di recente, scritta a pennarello, sulla parete della piccola stazioncina ferroviaria, valtellinese, di Delebio. Devo ringraziare il guasto all’auto per questa scoperta. L’anonima poetessa Bea mi rimanda a una poesia del poeta ferito alla testa, a un rametto d’erica. Alle poesie sugli addii, o almeno a quanto in poesia rimanda all’impossibilità che un amore venga vissuto. Questo almeno in letteratura, perché nulla vieta che l’anonima ragazza abbia poi raggiunto il suo amato, che Apollinaire abbia potuto vivere l’impossibile, e così Storm e così il mio antico professore d’italiano.
Per me l’incontro con la letteratura è stata la frequentazione di alcune persone, dei maestri, che per il mio animo hanno scelto, posso dirlo?, le illustrazioni adatte. E queste inequivocabilmente rimandavano alla poesia. All’Istituto Pacinotti di Pisa un professore d’italiano m’insegnò poeti poco trattati, ancora oggi, nella scuola. Il futurista Farfa perché cantava la gioia e l’invenzione fantastica. E il surrealista Breton perché aveva insegnato a “trascrivere i sogni con simmetrie adatte a non smarrirli” (riprendo dal mio gualcito quaderno di studente). Poi mi fece conoscere Apollinaire. O meglio ci s’intese sulla poesia “L’addio” in un momento suo di tristezza infinita. Nell’intervallo, dalla finestra della classe, vidi che nel cortile il professore veniva raggiunto da una donna. Indossava un tailleur scuro con pantaloni attillati. Alta, elegante, con un foulard al collo, forse fucsia. I capelli raccolti in uno chignon, come se fosse uscita in fretta, incurante del suo aspetto. Ma questa trasandatezza nell’acconciatura la rendeva ancora più affascinante. O almeno così m’apparve. Ricordo degli zigomi alti, il collo leggermente piegato mentre camminava. Ma forse era il peso delle parole che avrebbe pronunciato a suggerirle quell’andatura.
Parlò brevemente. Sfiorò con le dita il mento del mio professore che vedevo di spalle. Sembrò indugiare. E si allontanò. In classe l’uomo apparve cambiato. Sempre sorridente, ironico, mi sembrò un futurista al quale avessero consegnato della biacca per spegnere i vortici dei colori. Allora ci lesse una poesia di Apollinaire. “Oggi conosceremo questo poeta francese nella traduzione di Giorgio Caproni”, disse assorto. E declamò con voce roca: Ho colto d’erica un rametto/ L’autunno è morto non scordarlo/ Non ci vedremo mai più in terra/ Odor del tempo brullo rametto/ E tu ricorda che t’aspetto/. La classe era distratta, figurarsi, dopo l’intervallo; lui lesse un paio di volte. Vidi il suo volto farsi di cenere. Fui preso da un grande struggimento. Da una specie di solidarietà. Ci stava confidando il suo addio all’amore. Un segreto. Ancora oggi sono lieto e sconfortato per averlo colto. Di avere capito. Ci guardammo. Il professore comprese. Mi si avvicinò posandomi una mano sulla spalla. Confesso che per quella pressione, sono diventato scrittore. Il “Mai più” di Apollinaire mi segnò come una voglia. Intuii, allora, l’universo della letteratura che può versarsi in un mattino. Tutto il resto è stata una declinazione. L’insegnante non terminò l’anno scolastico. Semplicemente scomparve. Fu sostituito. A nessuno interessò che fine avesse fatto. Non l’ho più rivisto. Il rametto d’erica l’ho ancora trovato in Theodor Storm nella raccolta delle sue novelle: in Immensee. “Quando si rialzò, il suo volto aveva un’espressione di appassionato dolore: Conosci questo fiore?, chiese lui. Elisabeth lo guardò, con negli occhi una muta domanda: È un’erica, l’ho raccolta spesso nel bosco, rispose”. (1985)
Annuario Tellus 27, 2007
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