Tavola di Dante Spada, da "L'artiglio che si strinse sull'America"
Sergio Bonelli Editore - Storie da Altrove - 2003
Aleksandr Herzen
GARIBALDI
Lo conobbi di persona nel 1854, a Londra, allorché, tornando dall’America del Sud, si ancorò nei Docks delle indie occidentali. Mi recai da lui con un compagno d’armi della Repubblica Romana e con Orsini. Garibaldi, con un pesante pastrano chiaro, un fazzoletto variopinto al collo e il berretto in testa, mi fece l’impressione d’un robusto e simpatico uomo di mare, più del glorioso condottiero le cui statuette, con la camicia rossa e il poncho, erano già famose in tutto il mondo. La semplicità bonaria del tratto, l’assenza di posa e d’ogni pretesa, la cordialità con la quale m’accolse mi misero subito a mio agio.
Il suo equipaggio era costituito, quasi per intero da italiani; egli era il capo e un'autorità, un'autorità severa - lo si sentiva - ma tutti guardavano a lui lietamente e con affetto, fieri del loro capitano. Garibaldi c'invitò a colazione nella sua cabina: ostriche dell'America del Sud preparate con una salsa piccante, frutta secca, vino di Porto. Ad un tratto balzò in piedi. "Aspettate, ho un altro vino da farvi assaggiare", esclamò, e schizzò via agilmente di sopra. Poco dopo rientrò, seguito da un marinaio che teneva trionfalmente in mano una bottiglia. Garibaldi lo guardò controluce con un sorriso, tolse il tappo e riempì il bicchiere a ciascuno di noi. Che cosa non ci si poteva aspettare da un uomo giusto d'oltreoceano? Era semplicemente un vino di Nizza, sua terra natale, che s'era portato dietro fino in America, e di lì a Londra.
Intanto nel suo conservare semplice e cordiale si faceva sentire la presenza di una forza. Senza frasi fatte, senza luoghi comuni, il condottiero che aveva stupito veterani e guerriglieri col suo valore, si veniva rivelando. E in quel capitano di mare era già facile riconoscere il leone ferito che, mostrando i denti ad ogni passo, s'era ritirato dopo la difesa di Roma, e, avendo perso tutti i suoi seguaci, riuscì a chiamare a raccolta soldati, contadini, banditi e chiunque capitasse sotto mano in San Marino, a Ravenna, in Lombardia, per colpire di nuovo il nemico, mentre aveva accanto il corpo della sua compagna, che non aveva resistito agli strapazzi ed era morta di stenti. Gli dissi che la sua vita di mare mi piaceva moltissimo, e che fra tutti gli emigrati aveva scelto la parte migliore.
"E ch'impedisce loro di fare altrettanto?", replicò con ardore. "Era questo il mio sogno prediletto, essere Capitano; sorprendetevi pure, però m'è caro anche adesso. Che c'è di meglio della mia idea - e il suo volto s'illuminò -, che c'è di meglio del raggrupparsi attorno ad alcuni alberi di nave e solcare gli oceani, rinforzando muscoli e polmoni nella dura vita sul mare, nella lotta contro gli elementi, nel pericolo? Una rivoluzione navigante, ecco quel che siamo qui a bordo, pronta ad attraccare su qualunque sponda; una rivoluzione indipendente e irraggiungibile!"
Garibaldi m'apparve in quel momento come un eroe classico, un vero personaggio dell'Eneide.