a cura di Eroma di Vecchiano
Max Stirner e l'amore. Postilla papiniana
Signor Claudio Di Scalzo, ho seguito ultimamente le vicende di “Imbecillità con Morte" e il duello con varie armi bianche tra Covato Poco e Salata Maretta che sanguinacci linguistici sgocciolano raccolti dalla segatura passionale. E il tutto strutto per almanaccare controcanto utile, filosoficamente utile, sorta di counseling filosofico, secondante i tuoi sforzi d’autore e quelli, strampalati, di Covati Poco e Salata Maretta, firmandomi semplicemente Eroma il cui rovescio facilmente si decifra. Pertanto ti spedisco una riflessione sul continente Imbecillità d’amore vera e Morte finta d’amore, e lo faccio sotto la totale mancanza d'Autorità di Max Stirner. Un’ultima cosa, anch’io sono nato a Vecchiano. Ma sto bene senza letteratura da pubblicare sotto l'insegna del nome più cognome e data di nascita e domani di trapasso. Intanto, uscendo da questa poltiglia postillante dove prendo l'andamento da nicciano papiniano molto inamidato nel lessico mimetico primonovecento, ti dico: Salute e Anarchia.
MAX STIRNER E L’AMORE
La Casa Editrice Sociale di Giuseppe Monanni e di Leda Rafanelli, situata ed attiva a Milano, nel 1923 pubblicò, a cura di John Henry Mackay e per la traduzione di Angelo Treves, la prima edizione italiana dei cosiddetti “Scritti Minori” di Max Stirner. Molti interessanti spunti se ne potrebbero trarre, ma la nostra attenzione è stata attratta da un breve saggio che Stirner riuscì a vedere divulgato nella Rivista mensile berlinese animata dal suo caro amico Ludwig Buhl, periodico travagliatissimo che questi aveva ideato nel Luglio 1843 in Berlino, ma che naufragò in Prussia sotto i nefasti colpi della censura. Buhl dovette emigrare a Mannheim, dove nel 1845 diede alle stampe il primo ed unico fascicolo della sfortunata Rivista.
L'articolo di Max Stirner in questione si intitolava: “Alcune considerazioni provvisorie sullo Stato fondato sull'amore”. In esso l'autore svolge principalmente un tema di carattere polemico-politico: viene posto in discussione il cosiddetto liberalismo tedesco del barone von Stein del 1808, che voleva essere un controcanto, dal sapore melensamente cristiano e caritatevole, rispetto agli ideali della Rivoluzione Francese diffusi per tutta l'Europa sulle canne delle baionette durante le guerre napoleoniche. La libertà sostenuta dal barone von Stein non si fondava sulla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, bensì sul Dovere.
Così asserisce Stirner: «Ma in che cosa consiste il dovere? Il messaggio di von Stein lo definisce chiaramente e lo determina con le parole diventate una divisa: “Nell'amore verso Dio, il re e la patria!” (...) Questa è la libertà, che secondo il messaggio deve rendere felice il popolo: la libertà nell'adempimento del dovere, la libertà morale. Come già l'eguaglianza del messaggio si differenziò essenzialmente da quella che la rivoluzione francese proclamò, così si differenzia anche la libertà. È libero il cittadino sovrano del popolo sovrano, insegnò così la rivoluzione; è libero colui che ama Dio, il re e la patria, così insegnò il messaggio; colà è libero il cittadino sovrano, qui il suddito affezionato; colà libertà civica, qui morale». Ed è a questo punto, in questo frangente, che Stirner incomincia ad argomentare una sua considerazione, tanto sconvolgente quanto veritiera: ossia di come l'amore sia il nemico più grande ed acerrimo della libertà, della libertà autentica, non tanto di quella politica, sia essa napoleonica o prussiana, ma di quella spirituale.
Sostiene Stirner: «Il dovere dell'amore forma, come vediamo, il centro della libertà morale. Come si suole aggiungere senza contraddizione, il cristianesimo secondo la sua intima essenza è la religione dell'amore. Quindi anche la libertà morale, che si concentra nell'unica legge dell'amore, sarà il più puro e cosciente adempimento del cristianesimo. Chi non è nulla altro che amore, ha raggiunto il più alto vertice, è veramente libero! - così suona il Vangelo della libertà morale. Quando questa convinzione si destò nei cuori, e li riempì della beatitudine trionfante, allora la forza dei despoti dovette essere troppo piccola contro la violenza di un simile sentimento, e il cristianesimo nella sua forma più radiosa, cioè come amore, affascinando i popoli si scagliò con coscienza di vittoria contro lo spirito della rivoluzione. (...) Ma cerchiamo di conoscere un poco questo nemico della libertà rivoluzionaria, l'amore! Si suole contrapporre all'amore l'egoismo, perché la natura dell'egoismo porta con sé questo, che colui che lo segue si comporta senza riguardo agli altri, ossia spietatamente. - Se ora mettiamo il valore dell'uomo nell'autodeterminazione, cioè nel fatto che egli non è determinato da una cosa o da un'altra persona ma egli stesso è il creatore di sé, e quindi è ad un tempo creatura e creatore, è verosimile che l'egoista resti più di tutti lontano da questo fine. Il suo principio suona così: le cose degli uomini esistono per me! Se egli potesse aggiungere: anch'io esisto per essi, - allora non sarebbe più un egoista. Egli mira soltanto ad afferrare l'oggetto dei suoi desideri; per esempio, corre dietro ad una fanciulla per la quale arde, allo scopo di sedurre questo oggetto amato (poiché quella fanciulla ha per lui soltanto il valore di un oggetto), ecc. Non gli viene in mente di diventare un altro uomo per amore di quella fanciulla, di fare di sé qualche cosa per meritarla con ciò: egli è come è. Appunto questo lo rende tanto spregevole che non si può scoprire in lui nessuna formazione di sé e destinazione di sé. Ben altrimenti fa colui che sente l'amore. L'egoismo non cambia l'uomo, l'amore fa di lui un altro uomo. “Da quando egli ama, è diventato un tutt'altro uomo”, si suole dire. Ma egli come amante fa anche realmente qualche cosa di sé, in quanto che estirpa da sé tutto ciò che non piace alla donna amata, volontariamente e devotamente si lascia determinare, e trasformato dalla passione dell'amore si orienta verso l'altra persona. Se nell'egoismo gli oggetti esistono soltanto per me, invece nell'amore anch'io esisto per essi: noi siamo l'uno per gli altri, e viceversa. Lasciamo però l'egoismo al suo destino e paragoniamo piuttosto l'amore con la determinazione di noi stessi, ossia con la libertà. Nell'amore l'uomo determina se stesso, dà a sé una certa impronta, diventa creatore di sé. Ma egli fa tutto ciò per amore di un'altra persona, non di sé medesimo. La determinazione di sé dipende ancora dall'altra persona; è in pari tempo determinazione per opera di un altro, è passione: l'uomo amante si lascia determinare dalla donna amata. L'uomo libero invece non si determina né per opera d'un altro né per amore di un altro, ma puramente da se stesso; egli comprende se medesimo, e in questa comprensione di sé trova l'impulso a determinare se medesimo: soltanto col comprendersi egli agisce ragionevolmente e liberamente. C'è molta differenza tra il venir determinati da un altro o da se stessi, tra l'essere un uomo innamorato o un uomo ragionante. L'amore vive di questo concetto, che ognuno faccia per amore di un altro quello che fa, e la libertà vive del concetto che ognuno faccia per amore di se stesso quello che fa; colà si spinge la deferenza verso un altro, qui io spingo me stesso. Pertanto l'amore e la libertà sono due concetti inconciliabili. L'uomo che sente amore agisce per amore di Dio, dei fratelli, ecc., e in genere non ha volontà propria: “sia fatta non la mia ma la tua volontà”, questo è il suo motto; l'uomo ragionante non vuol compiere altra volontà che la propria, e stima colui che ha una volontà sua, non colui che segue la volontà di un altro. Quindi l'amore non ha ragione contro la libertà, perché soltanto nella libertà la determinazione di sé diventa verità». Stirner così conclude: «Ma come appare l'amore al cospetto della libertà? La sposa di Corinto pronunzia quelle orribili parole con cui viene rivelato l'atroce delitto dell'amore contro la libertà: “Qui avvengono sacrifici, non di agnelli né di tori ma inauditi sacrifici di uomini!” Sì, inauditi sacrifici di uomini! Perché ciò che precisamente fa dell'uomo un uomo, la libera volontà, l'amore lo caccia via dal suo trono sovrano, dichiarando che il proprio regno rende completamente felici, e lo fulmina, e sollevato sulle spalle di schiavi proclama l'onnipotenza della mancanza di volontà. Poiché cose simili non si possono dire in tutti i tempi, qui facciamo punto e rimandiamo a occasione più favorevole la dettagliata esposizione dei fenomeni dello Stato fondato sull'amore. Allora incontreremo dappertutto la tesi che l'uomo che ama non ha volontà ma soltanto desideri, e vedremo quanto fosse profetica la grande parola del governatore di Berlino, conte di Schulenburg: “Il restare tranquillo è il primo dovere del cittadino!” Nelle braccia dell'amore la volontà riposa e dorme, e vegliano soltanto i desideri, le "petizioni". Certamente, anche questa epoca del regime dell'amore conduce una lotta: la lotta contro gli uomini senza amore. Poiché la concordia degli animi è la sostanza dell'amore, poiché principi e popoli sono congiunti nell'amore, essi devono eliminare ciò che vuole allentare il vincolo dell'amore: cioè i malcontenti (demagoghi, carbonari, le Cortes in Ispagna, la nobiltà in Russia e Polonia, ecc.). Costoro infrangono la fiducia, la devozione, la concordia, l'amore; "teste inquiete" disturbano la tranquillità della fiducia, - il primo dovere del cittadino è quello di restare tranquillo!»
POSTILLA IMBEVUTA DI PAPINIANO SCONFORTO
Amore, amore! Quanti esseri spasimano vanamente per te, quanti miserabili misfatti, quante orrende nefandezze vengono compiute in tuo nome! In nome dell'amore di Dio, di un uomo, di una donna, dell'Umanità, quanto dolore e quanto sangue sono stati sparsi, quante infamie inenarrabili sono state commesse! Chi di noi non ha amato? Chi di noi non ha visto coartata la propria Individualità, piegata la Sua Persona sull'altare di un Dio e dell'Amore che elargisce sofferenze inspiegabili, che concede gioie brevi ed effimere, nel godere delle quali sempre fummo, siamo e saremo consapevoli della loro ridicola inanità, della loro inesorabile insensatezza, del loro insano sviluppo, della loro tragica conclusione, dell'illusione irridente ed ottusa che le pervade e le possiede? Ma noi che abbiamo amato, e così tanto, e così a lungo, abbiamo spalancato gli occhi sull'orlo di un precipizio, e le palpebre abbiamo immobilizzato su di un'ipnotica certezza: non ameremo mai più! Perché amare significa rinunciare alla propria libertà, significa uccidere la libertà della propria volontà. Perché l'amore è nient'altro che due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si prepara; dietro le sue lusinghe viete e il suo madido incanto sta in realtà il freddo Genio della Specie che mira al più terribile ed irrimediabile dei crimini mai operati sulla faccia del Pianeta Terra, ossia la perpetuazione della vita, la proliferazione irreversibile del male e del dolore. Perché, benché di fronte a questi orridi frutti dell'amore che realizzano il dolore e il male, cioè l'Essere, fino ad ora noi siamo rimasti soltanto silenziosi ed atterriti testimoni, il solo pensare di poter essere anche noi di ciò responsabili, di poter addivenire a tale mostruoso tramandare, agghiaccia il vivido sangue che pulsa e fluisce nelle nostre vene, secca i liquidi e le linfe che scorrono o stagnano nei nostri corpi. Non saremo responsabili di questo: non saremo responsabili di nulla! E difenderemo il pallido feticcio della nostra indipendenza, già piagata dalla vita, già deformata e contaminata dai miasmi e dagli effluvii, già cloroformizzata dall'ebetudine, dalla bruttura dell'eterno risveglio, dalla vergognosa banalità del papiniano “tragico quotidiano”. Spezzati in due, foss'anche, continueremo a difendere la nostra libertà: difendere in extremis un principio che altro non è che il Nulla!