Claudio Di Scalzo Medium
ERNESTIANA – I
ARTE E SAVOIR-FAIRE (X WEB MÈR)
Dell’arte (e della letteratura e della filosofia), capiscono tutti qualcosa (nei Gruppi di Discussione Facebook tra polluzione e concione menando carbone e stuc e tutti la fanno e se la danno come risciacquato panno: il filologo e il cruciverbista, il teologo e il chierichetto, il professore delle medie e d'università, l’impiegato e l’impiegata, la commessa e lo storico, il giurista e la giurista con legge tatuata in vista, lo storico dell’arte che la guancia espone a parte, il monaco biblista che pelato come pantani fa l’apripista senza drogarsi in salita ma che su Facebook s’avvita, il blogghista conformista ch’ogni dì t’aggiorna sulla poesia spica spiccia ellittica che si sforma mantica fica rosea ciccia, il blogghista bricoleur ch'ogni poeta di valor recensisce oltre lo squallor gratis e quelli in disvalor chiedendo in simil-or parcella (20 E.) per render di fino poesia tacchino fresca colombella … e il signor sindaco.! Sì, hanno tutti il “loro” gusto. Scusate, signori, l’arte (la letteratura) non ha nulla a che fare con il gusto, l’arte non c’è perché uno la “gusti” (o la commenti in finestrella snella pecorella bhèèèè con fotina acclusa seppur sfusa la poverina sui fochi fatui di faccine nickname nain nane spic span van). Ma il signor sindaco (e combriccola che si scola e cola sta’ elettronica fola) crede che, se c’è l’arte, c’è per essere “giudicata” (e “filosofata” cumme na’ mata) e se esiste l’arte moderna esiste per essere giudicata da un punto di vista commerciale (barra a lato pubblicità di scarpe e dentiere e natiche e palestre che arricchisce la multinazionale social network). E pensare che un’idea tanto originale può saltar fuori dal cervello del signor sindaco! Quel che pretende il sindaco, lo praticano i critici dei piccoli e grandi quotidiani (e siti e blog stagionali come imperituri canali di word-carburi). Essi vogliono giudicare l’arte. E’ molto comodo perché un’opinione per quanto falsa, non ha mai bisogno d’essere smentita. (Non so se m’intende caro Di Scalzo medium evocandomi da Bonn 1912 in ernestiana lanugine dalla sua bocca aperta sul timone dell’Olandese volante. E per farmi discorrere dall’aldilà del mio Dadà non fraseggi troppo il mio ectoplasma in etto fantasma ma si potrebbe dir anche fantasima). Storici dell’arte parlano di savoir-faire, si lamentano che questo savoir-faire è sparito del tutto nei “giovani”. Talvolta queste lamentele sono serie e ponderate. Signori miei, ma lo sapete, che cos’è il savoir-faire? No, non lo sapete, credete che il savoir-faire voglia dire disegnare bene e saper dipingere, come “può” farlo anche una macchina fotografica dopo la scoperta della fotografia a colori (oggi son tutti fotografi di lor facc’Io di superficie, caro Max Ernst, siamo all’onirismo pixel sequel memory taleEquale mortuale minor cori). Il naso non deve essere troppo lungo o la gamba troppo corta (a questo pensa photoshop e le calcomanie prese qua e là dai cadaveri facciali illustri compreso il suo signor Ernst!). Sono le “solide basi” (per apparire on line) che si ricercano all’Accademia delle Belle Arti per diventare buoni operai (non artisti o poeti o filosofi). Savoir-faire significa saper fare delle forme. Savoir-faire presuppone esser capaci di rendere sensibile la vita interiore della linea e del colore. (Come glielo spieghiamo, caro Max Ernst questo saper-fare a chi su Facebook fa diario in linea dall’alba alla mattina informando del colore delle feci mollate nel vaso?). Linea e colore sono indipendenti dal soggetto. Pittura assoluta nel senso di musica assoluta. Savoir-faire presuppone aver esperienza (E se l’esperienza son soltanto quadri visti sul web e mai in un museo in una galleria e in uno studio di pittore? Se l’esperienza è come stamparsi un librino e venderlo su Facebook imitando striscia la copertina con faccina modi spicci senza la bella forma della velina di Ricci? Se l’esperienza sol di libri glossati si nutre? Se la filosofia è soltanto commento ai libri di filosofi venerati e odiati come il servo della gleba odiava il castellano? E se l’esperienza estetica e di pensiero ti mette nella condizione d’aver inventato il ferro di cavallo geofilosofico e poi hai asino da ferrare per la corsa e stesso ferro ha il signor del castello per suo destriero che galoppa nelle enciclopedie e nelle università europee non ne ricavi devastante esperienza d’invidia e malattia somatica? Non è, mi scusi per l’ernestiana irriverenza da medium scalzo, come fare l’amore tenendo le mutande? E l’esperienza si nega al contatto alla lubrificazione in due?). Per l’artista le cose di tutti i giorni come le più rare possono diventare una esperienza, un accordo di colori, un arabesco. Questo nuovo savoir-faire presuppone che anche il pubblico e, a maggior ragione, il critico “debba” saper fare qualche cosa. Il critico deve poter riconoscere l’avvenimento nella forma espressa dall’artista, deve poterla rivivere. (Traduco caro Ernst che il critico d’oggi 2013 dovrebbe saper riconoscere la filante velatura e lo scafo libertario dell’Olandese Volante? Che dovrebbe sentirsi anche lui senza catena feticistica alla man che tien tastiera e borchia di valor di scambio sulla lingua?). Se, per di più, è capace di parlare chiaramente di un’opera d’arte, allora ha il diritto di scrivere sull’arte. E forse persino il diritto di esprimere il suo parere sull’arte. Il critico deve potere ancora una cosa: lasciare la sua sufficienza, la sua pretesa d’essere il temerario tutore dell’artista, di dargli consigli sul modo migliore di procedere (E infatti sull’Olandese Volante la rotta è vergata dalla comunità dei corsari che eleggono - per legge della filibusta/web - la lama e le lame più coraggiose al timone, i critici partono mozzi e a pelar patate nella stiva). Ma, signori critici d’arte (di letteratura ed estetiche e pensosità varie), voi non siete capaci di niente.
Claudio Di Scalzo medium
che il 18 maggio 2013 in seduta mansarda-spiritica ad ora tarda
traendone carnevalium
sui tempi nostri
ebbe veduta dei rostri di Max Ernst il 30 X 1912 a Bonn
mentre stilava il suo editoriale dadaista usando forbici come uno sfegatato.
Claudio Di Scalzo alle cinque prese sonn
dal suo doppio parlato!