CDS: "Boine Meta Arte con petali rosso sangue a Pasqua"
Claudio Di Scalzo
KAROLINE KNABBERCHEN IN CASA BOINE
Pasqua. Confessione. Comunione - Ma s’io dovessi confessare tutta la mia vita sarebbe peccato. O quasi. - In verità pressoché tutto è logico e santo in me. (Giovanni Boine, Frantumi)
A imperia, un tempo Porto Maurizio, avevo con me un solo frammento, trascritto sopra un foglietto da taschino, di Giovanni Boine. Tu facevi lo scemo. Prendendomi in giro. “A Porto Maurizio con Boine frammento come sfizio”. Io sopportavo. La tua irriverenza nasce quando temi che da qualche frammento letterario, o filosofico, io ricavi precise, esatte, misure per la tua biografia; che mi se mi ha fatto innamorare, a volte, la "sento", la "sperimento" su di me con atti da “Ladrone”. Dai quali, poi, cerchi perdono, assoluzione, come da un Gesù facile da convincere.
A Imperia cercavamo le case abitate dello scrittore portorino. Non era turismo culturale. Sia io che te prendiamo in giro chi lo pratica. Svolgevamo un’indagine delle nostre.
Mi avevi avvicinato al poeta che tu avevi studiato con Silvio Guarnieri in Università. Facendomi sfogliare, imprestandomi, per poi “tartassarmi” con richieste di restituzione, di un libro che in realtà m'avevi donato. L’hai fatto anche con gli aforismi di Char. Ma non ho inteso ragioni e il libro me lo son tenuto perché donato. A te le fotocopie.
I Frantumi mi parvero subito una scoperta incredibile. E ne parlavamo passeggiando sulle Mura di Lucca, “In San Colombano col bacio fortificato a portata di mano dato e slinguato”. Cito le tue prodezze in rima. E siccome non ti rassegnavi a non avere più il libro che raccoglieva per la prima volta gli scritti di Boine, pubblicati nel 1983, ti suggerii di tornare dai bancarellisti in Corte del Biancone dietro San Giusto. Abbandonando per un momento le mirabilie sulle mie labbra nel Baluardo di San Colombano.
Al solito spallucce, dinieghi, ma come puoi pensare ci sia un altro volume dopo che ho trovato questo per miracolo mesi fa! I miracoli a volte si ripetono, ti ho detto prendendoti sottobraccio. E per convincerti ho aggiunto, se lo trovassimo ti regalo un bel fumetto cartonato. Come un bambino sei diventato radioso, tanto pensavi di riceverlo lo stesso il dono, un po’ come fai con i gelati. Quando mi spieghi dove i coni "li fanno più grossi” spendendo meno. Geloso quasi delle palline che a me danno più abbondanti. Che tenerezza mi fai Fabio! Con i tuoi sette anni più di me d’età! Arrivati dal bancarellista, sezione poesia italiana, c’era un bel volume di Boine contenente Il Peccato, Plausi e Botte, Frantumi. Integro, addirittura più nuovo del tuo. Ho esultato. Ti ho abbracciato. E il tuo sguardo quasi quasi diceva se non era il caso che la tenessi tu questa edizione. Come un fumetto più integro faceva gola al collezionista che è in te. Che bambino di trent’anni!
Questo il motivo per cui a Imperia avevo il frammento su cui "m’aggroviglio", dite voi a Vecchiano, da tempo. E soltanto andando in una casa di Boine avrei risolto. E risolto non per me, ma per te che io amo, e che a volte metti in pericolo il nostro legame. Con modi “ladroneschi”.
Prima casa di Giovanni Boine
Ad Imperia, sorvolo sulle tue lamentele, per la casa in affitto che avevo trovato troppo distante dal centro, anche se traversavamo gli uliveti tanto cari a Boine, e se incontravamo parti antiche di Porto Maurizio. Ricordo che con la tua fissa di avere minerale da bere ti eri caricato nello zainetto ben tre bottiglie. Che ti riducevano a cammello lamentoso e arrabbiato. Per fortuna, per non farti “riconoscere”, come dite a Vecchiano, tacevi imbronciato mentre il vice-sindaco di Imperia, che ci aveva affittato la casetta, ci portava, devoto dell'autore, a vedere le abitazioni di Boine, dal di fuori, perché i proprietari attuali solo questo consentivano.
Non entrando in alcuna casa ha funzionato la filiazione dal frammento, affinché lo intendessi “alla mia maniera”. Come dite voi a Vecchiano. E che a te non sarebbe mai riuscito farlo. Perché se pure sei cattolico e compi peccati, parecchi!, non sai di essere a volte un po’ santo. Né come lo diventi ai miei occhi, che capisco così la tua natura e la mia che in te si specchia anche nel peccato.
Ho visto Boine in casa. Una finestra guarda il mare. Le suppellettili richiamano il liberty del periodo. Però modeste, copie popolari, in alcuni casi sciatte. E la camera da letto porta i segni nell’odore: dei medicinali dei sudori; nell'asciugamano macchiato di sangue della malattia: della Tisi.
Boine quel mattino si ripromette un’impresa da viaggiatore da camera. Vuole spremere dalla sua solitudine tutto. Intende dare un nome - sui nomi che riducono l’uomo a una cosa anche se poeta che pesano come tombe sul petto prima di morire ne ha fatto l’incipit dei Frantumi frantumandosi - intende dare un nome alle cose che vede, che siano una bottiglia con acqua fresca, un guanciale, un fiore sulla finestra, un limone in cucina: nome da innamorato e da non innamorato. Cambia se uno ama o non lo è. Si dice. Addirittura se ama riamato o se ciò non accade.
Ci riesce. Scrive frammenti sopra un quadernetto. Ma il gioco che s’è imposto non finisce qui. Dai nomi trascritti nel loro commento deve ricavare come con essi accosto... peccò. Verso chi amava o verso chi l’amava o verso chi aveva perduto. Poi aggiunge uno scalino più arduo da scalare. Come era stato amante da sano e da malato. Sempre consegnandosi al peccato. Anche in ciò riesce a scrivere una particolare mappa su se stesso uso a stare in Croce. Da una stanza all’altra da un sanatorio all’altro da un dialogo rifiutato con gli intellettuali sani all’altro.
A questo punto scrive il frammento che ho nel taschino. E’ Pasqua a Porto Maurizio. La sua impresa coi nomi è stata una confessione. A ogni nome a cui s’è accostato che ha diviso con chi amava, ha peccato. E con una donna la più amata forse ha peccato più che con tutte. Ma ciò l’ha reso anche, in un certo qual modo, Santo. Perché la santità e ci fa anche rima, dite a Vecchiano, sta accosto a certe mostruosità che si tengono addosso, a una parte di Male in noi. Inutile ti ricordi Schelling o Kiekegaard. Come io l’ho intesi.
Però a Boine questo approdo non basta. E immagina di dare nome alle cose da vivo e poi da morto. E qui non regge all’impresa. Non può farcela. Si piega su se stesso, tossisce. Si commuove. E questa sono io. Sono io, Karoline Knabberchen, che tossisco e piango. L’uomo che amo è santo e ladrone quando pecca. Ma a morire sarò io devastata.
Questo racconto è il frutto del nostro viaggio. A Imperia. Ora stai in silenzio. Mi abbracci. E sei sconvolto per la scoperta compiuta in questa indagine primaverile.