a cura Claudio Di Scalzo
Nel 1930, Jean Stevo, visitò il pittore simbolista belga Ensor a Ostenda nella sua casa museo. L’occasione dell’invito nacque dall’incontro di Stevo con Ensor nella taverna Le Falstaff dove l’ormai anziano pittore si fermava, tutte le sere, dopo aver passeggiato, per bere una birra e gustare il formaggio Chester in piccoli cubi di cui era ghiotto. In quei tempi uno dei fondatori del Simbolismo di fine Ottocento si poteva incontrare tranquillamente in una modesta taverna e riceverne l’invito a casa. Abitazione a cui si accedeva traversando un negozio di chincaglierie e ad annunciare la visita erano due strampalati negozianti. La narrazione su questo incontro è stata pubblicata nel maggio 1970 sulla Revue Nationale. È un documento raro. On line non si trova che sull’Olandese Volante. La traduzione dal francese è della redazione. (cds)
VISITA AD ENSOR
Verso le dieci apparve Ensor, pallido, distante, sognatore e lontano. Vedendomi aggrottò le sopracciglia: chi è questo tipo? Poi uno sguardo pieno d’ironia, un sorriso di connivenza. Ensor mi invitò a fargli visita nel suo studio di via delle Fiandre. Vi andai l’indomani. Mi seccava il cerimoniale, ma di cerimoniale si trattava, in via delle Fiandre. Si arrivava dinanzi a una bottega di souvenirs: nella madreperla erano intagliate delle spille a forma di gamberi o di battelli. Dei calamai erano posati su delle conchiglie, alcuni portacenere con personaggi del 1900 invitavano i fumatori alla prudenza. Dei crocifissi si stagliavano su fondi di conchiglia, inverosimili scatole erano decorate con scaglie colorate. Nella vetrina sotto vetro una sirena a coda di aringa, a testa di scimmia, con gli occhi scintillanti fissava l’orizzonte per l’eternità. Si spingeva la porta tutta scampanellante e dietro il banco spuntavano Ernestina malinconica e Augusto educato e gentile: “Volete vedere il maestro? Va bene, aspettate qui. Vado a informarmi”.
E il tempo passava.
Alla fine Augusto tornava, vi precedeva, bussava alla porta, aspettava ancora un po’. Poi si decideva a entrare annunciando “Signore c’è un signore per voi”. Da quel momento si dimenticavano la bottega , la scala, il corridoio, perché appariva il palazzo, la grotta magica dell’incantatore… Luce sparsa qua e là, marzo di colori, maschere, sete, come squisite e delicate, fiori di carta, bambole fantastiche, scarpe da ballo in lamé argento, cappello da donna ornato di fiori. Tra queste cose gentili un teschio, con un fiore tra le mascelle. C’era un incantevole disordine. Non si poteva veder tutto con un sol colpo d’occhio anche perché le tende ocra, abbassata per la troppa luce, creavano delle zone d’ombra.
Da quelle cose sembrava scaturire una dolce musica, delicata e sommessa.
Occhiata verso le tele: maschere, conchiglie, teste di morto. Le immagini trovate nello studio si ritrovano nei quadri. Vicino alla porta La vecchia tra le maschere mi guardava con aria di sufficienza.
L’entrata di Cristo a Bruxelles vi turbava con la sua folla di personaggi rumorosa, ciarliera, diabolicamente colorata. La carta da parati azzurra che copriva le pareti spariva sotto le tele. La Gamma d’Amore rivelava i suoi vivaci colori, Ensor dal cappello fiorito vi guardava, c’era Il ritratto di Finch, la Vergine consolatrice e poi maschere e maschere e in mezzo a questa folla, a queste presenze c’era calmo sorridente, disteso, un bel vecchio dai capelli bianchi con ondulazioni rosa. C’era Ensor. La prima volta che lo vidi ebbi paura: mi sembrava di trovarmi dinanzi a un mago. Possedeva del mago la calma suprema e l’autorità sovrana. Ensor mi mostrò le sue opere. Poi si informò, mi chiese se dipingevo e mi invitò a mostrargli i miei lavori. Si mise all’armonium e improvvisò una musica dolce, un po’ vecchiotta. Sembrava una canzonetta da fiera ma così delicata, così sognante che pareva il ricordo di un’altra musica già sentita negli anni d’infanzia. Così diventammo amici.
Jean Stevo