Sara Esserino, a Venezia, Luglio 2011,
dice ad Accio delle angosce che nascono in lei dal loro Amore.
Messo in pericolo dal riverbero che Accio gli dà in estetica
Claudio Di Scalzo
I DUE ADDII DI SARA ESSERINO (che diventerà SARA CARDELLINO)
(un ricordo in questo maggio 2017)
“I grandi amori, caro nipote, devono trovare, nella loro fine, uno sguardo almeno una parola almeno un gesto almeno adatto”, mi disse mia nonna Messinella, “altrimenti dimostrano o accettano di non valer nulla. E, non ti sorprendere se a volte son proprio i poeti le poetesse e gli artisti e le artiste, che sono banali, superficiali, nella loro fretta d’archiviare l’amore che vissero, a non avere sguardo da dare stando vicino all’amato all’amata, parola e gesto da consegnargli o consegnarle. Potrebbe capitare anche a te".
Mi è capitato nonna. Mi sono capitati addii superficiali e senza un briciolo di poesia e addii adatti alla poesia un tempo vissuta che può condurre a esiti tragici e infelici. In questi giorni ho ripensato all’addio, in due tempi, dolce e struggente, della donna che chiamavo Sara Esserino; e che poi virerà in un seguente addio, brevemente drammatico, con sepoltura del nostro amore, adombrata nella “Lettera al Guardiano del Faro”, e poi messa in atto dolorosamente.
Sara Esserino
a Venezia, 2011, ottobre, parla ad Accio
del loro legame del suo dramma
Dopo quel 20 novembre, del 2011, Sara Esserino non ha più pubblicato alcun libro di poesia, poesia non ha più scritto, poeti non ha più frequentato. Dedicandosi soltanto alla musica e alla sua esecuzione in una orchestra rinomata.
Sara Cardellino
Per questo seguito, per come me ne scrisse, per come me ne parlò lacerata mentre stavo tormentato ad ascoltarla, questo è addio alto in poesia e dramma che custodisco! e dal quale è nato il personaggio, dopo quello di Sara Esserino, successivamente quello di Sara Cardellino. "La donna che visse due volte nel cuore dello stesso uomo"
Sara Esserino scrive la "Lettera d'Addio al Guardiano del Faro"
Sara Esserino
LETTERA D’ADDIO AL GUARDIANO DEL FARO – ottobre 2011
Accio,… ancora donarmi a te, completamente; a te affidarmi, riporre ogni speranza e bene e fiducia, in te!, mi sprofonda e mi esalta: a volte ce la faccio altre volte dispero: in questi giorni, in queste ore. Ecco, nel figurato melodramma, il mio non essere all'altezza. È non riuscire a zittire quella voce scura, dentro, che mi allontana da te, quando ti manifesti tanto selvatico tanto incontrollato a ogni minima regola. Ciò mi provoca angoscia infinita. Non la posso ignorare, non la posso far tacere. Anche se staccarmi dalla panchina di Venezia e dal vento di Fiesole appare un'atrocità. Perché questo è, alla fine. E tutto stava nel bacio disperato dell'ultima volta alla Giudecca, dove con un fremito ho sentito forza e debolezza mescolarsi e spremermi dentro un succo denso, un canto straziante. Forse sfociato tutto in poche lacrime trattenute dal nero dei miei occhi. Ricordi quanto ti dissi dei miei turbamenti?
Ho immaginato il nostro legame sciogliersi nell’intimità del bene dell’amicizia. Ma che amicizia può stringersi fra noi?! Sarebbe un gioco di storpi. E noi non possiamo né dobbiamo giocarci. Io non ho niente da perdonarti. Dovrei perdonarti di essere te stesso?, di essere Accio? E, se questo mai qualcuno dovrà farlo, certo non sarò io. Nessuna donna ha il diritto di farlo. Né io ti voglio cambiare. Io ho amato quell'uomo! E tutt'ora lo amo!
Forse, senza quasi saperlo o in una percezione confusa, è questa la mia "fedeltà eterna" nei tuoi confronti. Perché anch'io piangevo in silenzio, mentre mi raccontavi del Bambino sulla Sedia. Ma c'è quell'urlo che mi assorda l'animo. Sempre. Non posso zittirlo, Accio. Non mi riesce! E allora devo allontanarmi. Per me stessa. E per onestà nei confronti di tutti. In primo luogo verso te. Perché nemmeno io posso cambiare me stessa o soffocarmi o consumarmi nel male anche fisico!
Mi manca il fiato. Di nuovo devo fermare le dita sulla tastiera. Ho perso il filo di questo mio empito che mi sconvolge. Più tardi riprendo a scriverti. Lo devo fare!
Ti penso nella mansarda che nel limite estremo della tua fantasia, della mia, diventa Faro. Sei solo, sei sempre stato solo! E trasmetti e trasmetti e trasmetti cosa per te è Amore. Ti ho intercettato. Ti ho risposto scoprendo una poesia un'arte che sembrava adatta a un libro d'avventura all'intreccio d'un melò nel quale diventavo protagonista con te.
Ora il faro è spento. Guardi fuori senza che nessuno ti raggiunga. Nemmeno io posso farlo, Accio. Se rispondessi ancora mi faresti morire nei dolori d’una scoperta impossibilità di starti vicino. Potrei ancora risponderti e a te basterebbe lo so! Di un giorno a Venezia ne hai ricavato un poema per mesi e mesi con cui mi raggiungevi. Ma non ce la faccio a seguirti dove il raggio quando non trasmetti per me… si posa. Di quei luoghi ho paura, lo capisci? Mi perdonerai un giorno per questa mia debolezza? Che mi addolora fino a vaneggiare! I miei genitori mi chiedono cosa abbia! dato che appaio sconvolta. Stamattina ho pure pensato che occultando, seppellendo, quanto mi hai affidato di tuoi scritti e disegni vincerò questo crocevia dove raggelo senza te dove brucio se con te. Questa immagine che mutuo da Ovidio mi dice che non ci vedremo più che non è possibile vivere assieme.
Tua Sara Esserino
Sara Esserino
dopo il 20 novembre 2011
Sara Esserino
HO SEPPELLITO TUTTO PER NON IMPAZZIRE
Nell'autunno 2011, il 20 novembre, ritornando ognuno alla sua casa, io a Vecchiano-Pisa e Sara Esserino a Venezia, dopo aver visitato Villa Malcontenta (clikka: Sara Cardellino e Accio: La riviere del Brenta ieri e oggi con Villa Malcontenta. 2011 e 2018) ricevetti da Sara Esserino, a notte fonda, l'addio che mi segnò come una crepa nel marmo. Perché di una tomba si trattava.
Ho seppellito il nostro epistolario, Accio, le nostre poesie, le tue, le mie, le fotografie e gli acquarelli in un'urna. Interrandola nel piccolo giardino della mia casa veneziana. Altrimenti sarei impazzita con attorno questa perduta meraviglia. Addio!