Lucia Di Scalzo: "La processione della Madonna di Castello a Vecchiano-Pisa"
sera del 22 settembre 2015
Claudio Di Scalzo
"COME DI SETTEMBRE A VECCHIANO"
(La processione della Madonna di Castello)
Questo scatto fotografico, che titolo “Come di settembre a Vecchiano” e come sottotitolo “La processione della Madonna di Castello” rimanda a me anche se, materialmente, il clik sull’otturatore, ma era un iPhone, non l’ho premuto io. Possibile? Possibilissimo. Rimanda a me, sono in parte io, perché a scattare la foto è stata la mia primogenita, Lucia. Si trovava a Vecchiano-Pisa, la sera della processione della Madonna di Castello, per la festa triennale. Stava dalla nonna, in vacanza qualche giorno. Da mia madre. La Nada. La foto è stata scattata proprio nella T che si forma quando la piccola via Indipendenza, dove ho la casa materna, entra in Via della Chiesa che attraversa il paese nel suo centro. Me lo dice la torre campanaria ghibellina del 1200 sullo sfondo, ma soprattutto il riflesso del lampione sospeso sul carro sacro che regge il dipinto della Madonna di Castello. Che poi è una copia di quello, antico, che venne trafugato nel 1963. Il dipinto è custodito in un santuario, sulla piccola collina dietro il paese, di cui già nel 1120 se ne ha notizia in scritti dell’epoca.
Ho vissuto e vivo quando torno in luoghi di storia sacra e civile. Le lotte dei Comuni, il dominio pisano e poi mediceo. Il mare che portava ricchezze e pirati. Il lago palustre, di Massaciuccoli, che dovrà aspettare Puccini per essere ricordato, le colline su cui si ergono, verso Ripafratta (col castello di Ugolino della Gherardesca, Divina Commedia) torri di avvistamento contro Lucca.
Mia figlia avrà avuto accanto la Nada tutta felice, perché poteva parlare alla nipote ventottenne, della “madonnina”, del suo “bimbo”, che poi ha 60 anni, e sta sul confine con la Svizzera, vivendo per alcuni giorni non più sola. Essendo vedova del Grande Lalo, ovvero di Libertario Di Scalzo detto Lalo. Il “grande” dalle mie parti viene donato, dato, a persone che in vita, a una certa età, e ricordati dopo morti, sono e sono stati dei “personaggi”. Memorabili. Di cui si narrano le “gesta”, di cui si ricordano “battute”, “episodi”, “eventi”, in sostanza vengono accolti in un racconto orale. A mio padre accade. All'inventore del carnevale a Vecchiano Fanfulla, accade. Ma anche al barbiere del vicino paese, Nodica, il Grande Pazzo, Paolo Fatticcioni, si narra.
Se i miei paesani quando mi salutano, tornato, o scrivono su Facebook “il Grande Accio”, chiamandomi per soprannome, che mi porto fin da bambino, perché ero un bambinaccio. Cattivaccio. Per me è un onore. E vale più di una laurea. Di un libro pubblicato. Di un convegno. Dei quali, sia detto in tutta sincerità, “m’importa una bella sega!”. Però dell’aggettivo coniugato al soprannome m’importa eccome. Vuol dire che sei stato, anche se scapestrato, un personaggio. Sei tu stesso dentro un racconto orale. Che viene modulato, e sia chiaro che le avventure possono anche avere il segno della scemenza e non della virtù (e per questo è letteratura orale) a tua insaputa tra persone se ti rammentano. Che vivrà anche dopo la tua morte. E che poi magari scomparirà quando dei vivi nessuno più ti ricorderà. Come passano le belle stagioni, che però tornano con altri frutti.
Il sacro però se passa sempre resta. Ogni tre anni. Con la festa triennale, ogni giorno in chi crede nel trascendente. Io sono devoto alla Madonna di Castello e a Gemma Galgani di Lucca. Lo sa anche chi guidava la processione, l’altra sera a Vecchiano, il mio compagno di banco alle medie inferiori, poi andò in seminario, Don Renato Melani. Che assieme a me era un monello. Poi lui toccato dalla fede diventò buono. Io ci ho messo più tempo. Tanto. E neppure so se lo sono ancora del tutto. Devo tener fede al mio soprannome. Ma se mia figlia era a fotografare la “Madonnina” è segno che un po’ lo sono. Madonnina che il riflesso del vetro ha impedito apparisse. Un riserbo quasi a non stare in fotografia. Una protezione. E questo accaduto fotografico mi coinvolge e m’intenerisce. Non sprechiamo la sacralità in fotografie di rapido consumo.
Con questa fotografia partecipo anch’io alla processione. Intanto perché ci scrivo. Potenza della narrativa e di un mestiere. Poi perché c’era la mia stirpe. La madre, la figlia primogenita (ho tre figli, anche Ines e Dario, e li affido alla protezione di Cristo e di sua Madre non certo a un governo!), poi c’erano i miei conterranei, le loro madri ne sono certo. Loro magari stavano al Mirovino. Ma alla Madonna, i più maturi in età, ci avranno pensato di sicuro.
In questa fotografia rimarrò anche perché la firmo, assieme a Lucia, e l’ho chiamata “Come di Settembre”, CDS, le mie iniziali. Come di settembre si evoca la fede. Il bello. La tenerezza. ma anche la caligine. Perché, se chi scrive vuol essere onesto, con i lettori, con chi guarda, deve anche dire che a lato, di questa,esile processione, esile rispetto ai tempi in cui ero bambino, c’è il Brutto, a volte il volgare, del mondo contemporaneo. Anche il totale disinteresse verso il sacro. Ragazzi in piazza che trafficano con le loro nuove divinità, le divinità di oggi, un abbigliamento all'ultima moda, un’auto, una musica stordente, una bottiglia di birra come simbolo di se stessi da tenere in mano, o addirittura una pasticca da usare come droga. La piccola processione, allora, e lo scrive uno che ha in gioventù, a sedici anni, alzato bandiera della rivolta giovanile, nel ’68; oggi, questo gruppo di persone che canta lodi a Maria, per il rovesciamento che il tempo propone - anche la letteratura funzione per diversi punti di vista e capovolgimenti - è il viatico per una possibile salvezza. Sia che uno si dica cristiano o credente oppure no. Rappresenta dei valori l’immagine sacra. Afferma che il reale non finisce tutto in una TV o in un appannaggio virtuale sui Social. Ma che c’è Altro. Ed è questo Altro che va cercato. Io l’ho fatto a settembre. Da vicino con mia figlia e mia madre, e da lontano, scrivendo da una valle, la Valchiavenna, bella nell’autunno che viene, vicino al confine.