CDS - "Arcobaleno copiato da Millet"
I DUE ARCOBALENI
L’arcobaleno la colse di sorpresa. Tornava da Pisa. Accostò l’auto. Sostò. Ah, se avessi la macchina fotografica. Zittì di scatto la canzone del solito cantautore che non la muoveva ad alcuna emozione. Sono tutti uguali, pensò. Ma gli arcobaleni no. Sono sempre uno differente all’altro. Posano su due estremi, portano luce dov’era grigio e acqua stillante tempesta passata sui prati. Io di arcobaleni ne ho due. Due! E ripensò a quando stava immobile davanti al quadro di Millet, all'Orsay, titolato “Primavera”. Un arcobaleno con un giardino in primo piano e un’intuita foresta di Barbizon proprio dove l’arcobaleno posava i suoi colorati piedi. Era così romantica allora, talmente tanto da pensare che a Parigi, davanti a un quadro, in un museo che custodiva i quadri che le piacevano dell’Ottocento da Corot a Millet, avrebbe trovato un uomo adatto a portarla via da quel paesino piccolino ma inguaribilmente noioso con le sue trecento persone. Certo immaginare che a Parigi, la prima volta a Parigi!, possa accadere un tale rimescolamento era arduo immaginarlo, ma lei ci sperava. Infatti accadde.
La nostra e' stata un'intesa di sguardi, di occhiate complici e un po' imbarazzate, un sorriso nascosto, un ammiccamento verso i colori dell’arcobaleno, parole non dette esplicite. Mi ha invitato a sedermi. Con il mio francese da insegnante di scuola media ho detto del mio entusiasmo. Lui mi guardava con occhi chiari, di certo simili nel brillio all’arcobaleno di Millet, a questo di stasera sulla campagna pisana, aveva dei capelli un po’ sparati sulla fronte, che si ravviava, e che io ricondussi allo charme dei parigini, e con naturalezza mi chiese se ero italiana, che ci facevo davanti a Millet, e che lui amava tanto le citta minori della Toscana, Pisa… ma anche Lucca. Che le avrebbe riviste volentieri. Avrei potuto accennargli a zio Manrico che aveva un albergo in Via Santa Maria, se avessi accettato il suo invito a prendere un caffè nel museo, invece rimasi come paralizzata, afona, chinai la testa, è tardi dissi, sono attesa. E mi alzai, ho sorriso mestamente come sempre faccio quando faccio qualcosa controvoglia. E cosi' me ne sono andata e ho sentito il suo sguardo seguirmi fino a che ho girato attorno alla statua di Ugolino, già Ugolino, a me pisana, simbolico!, e fuori sul Lungosenna l’aria come sabbia m’entrò in gola. Avevo rinunciato ancora una volta a seguire i miei sentimenti. Non ero certo un'impressionista. Ci scherzo su, tanto ormai. E' passato un anno e mezzo. Mi sarei sentita per sempre come un arcobaleno che svanisce, illumina, svanisce. Averlo provato a Parigi ha complicato il ritorno al paesello.
Tania sei sognatrice, Tania la vita non è un film o un racconto. E quel vanesio del prof. di disegno, di disegno poi!, che mi rammenta Emma Bovary! E invece ho ragione io. L'amore cosmico, grandioso, fatto di incandescenze, di pensieri, di sensazioni, di sguardi, di mani che appaiono all’improvviso a muoversi indicandoti un quadro in un museo può esistere, a segnarti l’animo. E l’occasione persa! L’arcobaleno svanisce il rimpianto dura sempre. Sembra un proverbio! Stasera a casa non ci torno. Girò l’auto e senza sapere dove andava, a vedere: il mare!, la pineta, il molo viareggino, ma a casa non ci torno! Qualcosa di pietrificato si era sciolto. Due arcobaleni mormorò, due pomeriggi. Inutili. E prese a riascoltarte il cantautore melenso. Accellerando. (Claudio Di Scalzo)