Quando nel dicembre 2011, separati da neppure un mese, il 20 novembre a Villa Malcontenta, ascoltai il Lied di Clara Wiek Der Wanderer in der Sägemühle sulla poesia di Justinus Kerner, scritto ad appena dodici anni, il pensiero andò all’Accio adolescente che scriveva poesiole in rima nella camera verdolina del cascinale, che correva sull’argine, imberbe viandante lambente pericoli da monello perdigiorno.
Ripensai, turbata e affranta, alle tue confidenze: misto di cattiverie e bontà; ai rivelati – a me quasi mi nominassi bimba complice - pensieri che ti frullavano pel capo spesso cupi e paurosi. Stavi in una tèmperie di romanticismo campagnolo senza saperlo. Dove c’era posto per la presenza della Morte. Bambini come me sono annegati in Serchio; sono caduti nei crepacci sul monte Castello; entrato nel bosco non l’hanno più ritrovato.
Oggi, in questo novembre 2023, credo proprio che questo sia l’incipit di un possibile romanzo familiare, romanzesco, il romanzo, vasto, è l’unico genere ampio che non hai scritto. A parte il breve romanzo fotografico-epistolare “Vecchiano un paese. Lettere a Antonio Tabucchi", edito da Feltrinelli nel lontano 1997.
Se ti cali nel tempo vissuto negli spazi transitati potresti utilizzare quanto a volte pratichi, oralmente, e cioè quel miscuglio di reale con paramnesia allomnesia pseudomnesia che fantasiosamente affidi ai personaggi: alcuni creati con me. Dovresti il vissuto nel cascinale con te bambino poi adolescente farne fondamenta d’una struttura romanzo. Prendi in considerazione il mio suggerimento, Accio, mentre completo, il Dittico, per Clara Schumann, dopo Fanny Mendelssohn.
Le traversie esistenziali di Clara Josephine Wiek Schumann sono facilmente conoscibili in vasta pubblicistica; oggi pure, seppure imprecise e fastidiosamente melense, in rete. Genio precoce accudita dal possessivo padre; innamorata impedita sempre dall’arcigno Wiek nel suo legame con Robert Schumann; sposa madre di numerosa prole, sette figli, interprete al pianoforte con Liszt la più grande dell’Ottocento; autrice misconosciuta di Lied e altre poche composizioni sovrastata com’era dal marito genio in tuffo nel Reno poi tra quattro mura nel manicomio di Endenich. Sorvolo sulle illazioni del suo rapporto con Brahms dopo la morte del marito. M’attengo alla ragazza dodicenne che scrive in musica Lied. Esigua produzione. Ampliata tra il 1840 e 1846 con vampa nel 1853.
Sono sorpresa, più precisamente turbata, dall’ascolto lettura in traduzione del Lied: “Der Wanderer in der Sägemühle” sulla poesia di Justinus Kerner, “Il viandante nella segheria”.
1
Là in basso al mulino
sedevo pacifico
guardando girare la ruota
nell’acqua che scorreva.
2
Osservavo lo scintillio della sega,
e come se sognassi la scoprii,
tracciare profonde estese incisioni
nel tronco di un abete.
3
L’abete mi sembrò vivo,
e in tono flebile,
vibrando in ogni fibra,
cantò queste parole:
4
“Arrivi nel momento adatto,
o Viandante!
È a causa tua che queste ferite
mi lacerano il cuore”
5
“È per te che, al termine
del tuo corto cammino,
questo legno nel grembo della terra,
ti sarà astuccio pel riposo eterno”.
6
Con trafittura al cuore,
vidi dal tronco calarsi quattro assi,
tentai di balbettare una parola
ma la ruota cessò di girare.
La poesia di Justinus Kerner condensa in tono popolare - merito del secondo romanticismo dopo i Novalis gli Schlegel ben più complessi - i temi del Romanticismo. Claudio è estimatore d’esso a partire da Eichendorff col suo “Vita d’un perdigiorno”. Curioso giochi il buio, lui direbbe buiore, degli “Inni alla notte” novalisiani con le notti cupamente da fiabe popolari e filastrocche di poeti come Kerner. Però non mi sorprendo più di tanto sapendo che c’erano fumetti avventurosi e Dumas e i Grimm sul suo comodino nella fredda cameretta a nord verso la temuta cava del paese Vecchiano. So che avrà sicuramente fatto parlare pure lui alberi del Monte Legnaio le acque del Serchio stando tra canne sui flutti lui stesso pencolante fino a incitare la fionda magica costruita con forcella e gomme dai pneumatici paterni. Oh, Claudio, ti amo ti amo ti amo ancora se ti penso Uomo-Bambino se ascolto con te il terribile funesto lied d’una Clara dodicenne.
Piango, mi vedessi ora, arriveresti come un turbine a portarmi via: fatti ricrescere i capelli fino alla cintura non voglio più vederti così. Invece tergerò le lacrime per scendere a cena: sentendo Linton dirmi: sei pallida stasera sei inquieta? Altro che inquieta sono disperata e scambierei un litigio con Accio con cento frasi cortesi. Come mi piacerebbe spiegarti questo Lied, impaurirci un poco assieme, e poi sentirti dire in rima scherzosa: “Qui ci vuole il cacciucco perché siam rimasti di stucco!”.
La natura delle piante delle acque dei materiali come una sega è misteriosa per il viandante. Infida. Spesso soprannaturale. Può creare magnetica attrazione gorgo ruota che parla inghiottendoti. Ripenso alla romantica Karoline Knabberchen. Allora sì che son singhiozzi senza freno. Claudio è stato anche Fabio Nardi. Ho avuto paura di trovarmi accanto a lui su di un gorgo anch’io? Oppure l’ho lasciato solo perché da uomo maturo ci si pencolasse lui dopo averlo fatto da Bambino?
Non lo so, Dio mio, non lo so!!
Nella strofa, il viandante ch’è anche poeta, guarda la ruota del mulino azionata dall’acqua cristallina, sta in santa pace seduto; dopo però nella successiva già vede incisioni nel tronco. Sogna a occhi aperti, vive l’allucinazione. Soffre il tronco tutto si trasforma in onirismo rischioso. Nella terza strofa l’albero diventa protagonista col sommesso canto sinistro perturbante. Quarta strofa. L’abete parla al viandante rivelandogli che è lui causa delle sue sofferenze. Quinta strofa: la conclusione dell’incontro misterico s’avvicina: il tronco dice al poeta che il suo transito terreno sta finendo che il legno suo lo fodererà come astuccio per deporlo nella nuda terra.
Brividisco. A stento finisco la traduzione. Son io Sara Capei Corti la viandante che ha osservato la ruota del mulino veneziano che vortica e pialla tronco del mio inconscio? Oppure un pericolo sovrasta Accio che disperato sente il suo tempo senza amore finito?
Clara Wiek, bimba dodicenne, come facesti a sopravvivere alla musica offerta a questi versi? Allora eri forse folle e guaristi crescendo? Sopportando per questo l’incipiente ultima follia di tuo marito?
Nell’ultima strofa si compie il destino dello sfortunato viandante-poeta e musica canto versi sono una vera e propria fantasmagoria lugubre di tempo e spazio concentrata sulla “parola-parolina” che non esce dalla gola del morente con la ruota ormai ferma.
Perdo i sensi. Svengo. La cameriera infermiera che mi assiste in questi giorni mi aiuta a riprendermi: mi conduce sul letto. La invito con voce strozzata di comunicare ai miei genitori al mio fidanzato che non ceno avendo un’emicrania terribile dovuta al ciclo che viene.
Emicrania? La mia testa è rotolata accosto a quella del ricciuto Heathcliff. E li sta. Anche se lui non lo sa. E allora assieme non c’era ciclo che mi fermasse dal non baciarlo lo stesso da esserne baciata con una tenerezza che ancora sento sulle gote sulle spalle!