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:: Karoline Knabberchen: Voglio dirti Fabio del litorale mistico...
15 Luglio 2017

 





Karoline Knabberchen

VOGLIO DIRTI FABIO DEL LITORALE MISTICO...

Voglio dirti che nella dolce sera più dolce del dolce litorale piegato sul tuo sopracciglio, approdo è il suono: che ha conosciuto la crescita e in sé porta il seme e il confine. Nelle notti avanzate agli antichi, calcate sui libri le nostre fronti, colme di abbagli. Al caldo della giovinezza, che non è un'età, esse s'illuminano. Questa ora sospesa e le sottili ali della cicala sono la stessa identica cosa, e la materia di cui son fatte si ripete sullo schermo delle nostre fronti. Dietro lo schermo, felici e tremendi i santi cattolici osservano. L'era perfettamente vergine e innocente ci ha attraversati scavando tunnel dalle granitiche fattezze. Guardi la pace e vedi scintillare il filo di chissà quante spade impazienti: sono i guerrieri forgiati dentro la frizione delle ali nel calco del suono. Come bastasse dirlo a ogni epoca, che l'una stratifica sull'altra per convincersi che quanto amiamo è una nostalgia. No. Le battaglie fervono al mattino, dentro la primissima luce con testimoni uccelli e alberi e una fonte, e il viola del mare; vorrei raccogliere una parola come un sasso e porgertela. Vedere quando lontano e quanto in profondità essa riverbera il suo nome e fino a dove a ritroso siamo disposti ad andare per pronunciarci così come siamo.

 



 

Mi avevano detto tante volte in un linguaggio divaricante il sì e il no. Cercai di ripetere la mia verginità in quella delle cose, unica salvezza. Quando oramai, attraversati strati e strati di pelle, mi parve di riconoscere l'uomo scoppiai in una risata potente: ero sempre stata al sicuro, poiché la verginità di tutte le cose era già riversata in me. Mi prese per mano una colomba dalle ali vermiglie. Chiese tre volte in giro il mio nome, nessuno mi conosceva, ma ognuno ebbe modo di ribattezzarmi secondo la sua volontà. Poi mi distese sulla sabbia calda, e mentre prendeva il volo costruì intorno al mio ombelico un vuoto che servisse da cassa di risonanza: allora in me si radunarono le onde che poco più in là sgambettavano come giovani cerve. Il sole prese a pulsare come una medusa e la sua luce poteva esplodere solo attraverso l'universo del mio pertugio. Un cordone invisibile mi legava e scioglieva alla vita senza forma, finché una forma non sceglieva quando e dove apparire, per poi ritornare in me. Dentro la mia voce parlavano le mistiche spagnole, e le suore del Belgio benedicenti. La materia era dolce e non apparteneva a nessuno.

 


 

La sabbia fiorì lungo tutto il litorale: lillà impazziti dal librccio danzavano scuotendo in vibrazioni perpetue i nostri molti corpi. Mi parve di riconoscere tutta la mia coscienza in un granello rimasto seme, protetto dalla cupola dell'ombelico. I fulmini non infiammarono il cielo e pure le nuvole nascondevano la mia consistenza. L'ultimo profeta era celato dietro il più piccolo granello di sabbia, lontano milioni di chilometri e che i lillà avevano fatto approdare nello spazio tra me e l'antica piccola chiesa. Ero ancora distesa mentre possedevo ogni cosa nascosta dietro la forma.

 




 

Fu come lo schiudersi di un uovo, con la membrana del cuore pulsante in un tempo e in luogo infiniti. Il denso e il fluido si confusero, la morte fu vinta nell'atto di resistere: ma l'atto si ripeteva senza che esistesse ripetizione, e la morte non esisteva più. Presi tra le mani le voci che mi sfuggivano come schiuma frizzante. Erano le testimoni divine che ridevano della mia preoccupazione.

 




 

Sono entrata nella Storia stringendo tra le dita un ramo di alloro. Così me ne voglio andare. Con le candele vibranti come una mareggiata e l'ombra fuori nel mezzogiorno, aperta come un merletto. Dodici giovani, sei fanciulle da chiostro e sei chierichetti, danzeranno felici con rametti d'ulivo benedetto la Domenica delle Palme sul petto. Il sole sarà luce pura e l'orizzonte non avrà confini. Mi sono sforzata a lungo di esprimere il mio totale disappunto per un mondo che rifiutasse a priori la mia anima. Ho perso quel po' di destino che le sacre scritture, l'Apocalisse su tutte, ci permettono di conoscere in una partita a dadi con la materia: ho scambiato l'esultanza del creato per la mia sconfitta. Ciò che non comprendevo è l'assoluta lungimiranza di ogni singolo filo d'erba che calpestavo scappando in lacrime. Neppure il suicidio compromette il ritmico alternarsi di vita e morte dentro di noi; come il vitalismo non offusca la notte perfettamente stellata del Nulla.

 



 

Come dietro l'inverosimile si nasconde il verosimile, così dietro l'infinità della nostra coscienza si nasconde Casa. Passo le mie giornate buttata su uno straccio come un vecchio cane, ma non ho mai creduto di dover cercare altrove: tutti gli indizi fabbricati dalla natura portavano, e hanno sempre portato, lì. Il fatto che io attenda sull'uscio è il vezzo della poetessa senza libri, o la paura della viandante cieca; di doversi, prima o poi, fermare. Per far quadrare una frase in poesia non serve la grammatica, o la riduzione in scala della geografia: serve la cristallina corrispondenza della coscienza con tutte le cose.

 

 

 


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