a cura di Claudio Di Scalzo
Karoline Knabberchen
L’ICONA DELLA CRISTIANITÀ ORIENTALE
Forse l’esatto contrario (emotivo) del quadro di Holbein è l’icona della cristianità orientale. Al di la dell’ammirazione estetica dell’icona, soggettiva e mutevole, l’occhio si posa sempre stupito sull’inusitata bellezza di forme e colori che fanno affiorare arcane memorie. Il volto umano dell’uomo di Galilea non si può dimenticare. Se guardiamo l’icona siamo immersi in un’arte che trascende. Pur avendo affinità con le raffigurazioni pittoriche dell’antico Egitto, l'icona cristiana rimane la celebrazione dell’uomo partecipe della vita divina e non il ritratto della sua carne corruttibile. È questa la sostanziale differenza. Ma cos’è che rende la trascendenza possibile all’immanenza? Come fare un’immagine dell’Invisibile? Chi potrebbe rappresentare i Suoi tratti se non c’è nessuno simile a lui? – si chiedeva Giovanni Damasceno. Oltre ogni dubbio: se tu vedi che l’Incorporeo si è fatto uomo per te, allora puoi esprimere la sua immagine umana. Perché l’invisibile, incarnandosi, si è mostrato visibile, è quindi ovvio che possiamo dipingere la Sua immagine. Cristo dunque, che noi abbiamo udito, veduto con i nostri occhi, contemplato e toccato (Gv 1, 1), è la vera icona “possibile” del Dio invisibile. L’evento della reincarnazione ha operato una vera e propria redenzione della materia, ha reso possibile la divinizzazione dell’uomo. È soprattutto questo, per me, il Cristianesimo.