CDS: "Kierkegaard che raggiunge Regina Olsen per rompere il fidanzamento"
China e acrilico su cartone 24 x 33 cm - 10 settembre 2016 -
Karoline Knabberchen
QUADERNO DEL MITE INVERNO
(20 agosto 1984 – 20 agosto 2016)
(a cura di Fabio Nardi)
XIII
FIDANZAMENTO ROTTO E CILINDRO VENTOSO
(Kierkegaard e Olsen)
Il calendario, come banchina-ormeggio-ancora e scafo in partenza, dice che la navicella Kierkegaard entrò nel porticciolo familiare della casa di Regina Olsen per fidanzarsi nell'autunno del 1840 e che se ne ripartì, rompendo il fidanzamento, senza una spiegazione, l’11 ottobre del 1841 prima per lettera e poi di persona. Il fidanzamento, era andato per le lunghe rispetto alle tre settimane canoniche, tanti mesi, un anno intero e pochi giorni. Kierkegaard annaspava sotto le vele. In porto. L’incontro personale porta il cilindro di Kierkegaard - che sembra accogliere tutto il vento di Danimarca e lui se lo calca sulla fronte in quel giorno da tregenda scura - dal porticciolo di Gilleleje a Copenaghen. Il sigillo nella disperazione dei due fidanzati lo pone però Regina Olsen che mentre strappa un bigliettino del fidanzato che teneva in petto, la sua grafia, dice: "In ogni caso tu hai giocato con me a un gioco crudele”. Nell’attimo della catastrofe è la donna che trova parole adatte alla rotta sua futura e a quella di Kierkegaard. Il gioco crudele delle letteratura riversata nella teologia filosofica e indossata come biografia esistenziale rovina sia la felicità di Regina Olsen sia quella di Kierkegaard. Che mestamente, anni dopo, lontano dal palco della catastrofe sentimentale (e dunque testo che non ha la validità dell’oralità di Regina), scriverà: “il mio legame con Regina mi avrebbe reso felice come mai non ho sognato di essere”. Il vento sopra il cilindro del filosofo non avrebbe più cessato di incedere flautandogli le costole in una sonata mortale. Lenta. Vento che per non subirlo Kierkegaard nell’ultimo mese di vita cade sistematicamente a terra. Le gambe non gli reggono più. Il cilindro rotola via. E nel letto d’ospedale sta all’attaccapanni. Complice sventato.
Quanto vado scrivendo, io Karoline Knabberchen, è, mi rendo conto una biografia immaginaria che abbellisce. Potrei anche aggiungere che la fedeltà del filosofo all’amata si manifesta lasciandole per testamento ogni sua sostanza in casa e danaro e scritti. Danaro che Regina rifiuterà. Anche perché lei, per terra svenuta, c’era caduta molto prima. Appunto nel giorno fatidico della rottura.
Quanto mi coinvolge in queste due biografie, c’è anche quella di Regina, eccome se c’è! Io ho gran simpatia e affetto per lei. Lei rimane. Lei perde tutto. E solo molto più tardi si sposerà rifacendosi una vita. Non è lo stesso destino di Fanny che perde Keats? Mi coinvolge chi rimane. Chi custodisce alla sua maniera. Anche con rabbia o sconcerto o senso di colpa. Chi resta è più importante di chi va via!
Questo lo sa anche Cristo. Dio guarda con affetto a chi resta. Abbandonato. Se io dovessi “lasciare” Fabio Nardi, che amo così tanto, Il mio fidanzato avrà la simpatia di Cristo.
Tormentoso. Svilente. Ancora che non raggiunge il fondale. Mi strattono in basso non trovo fine nella sabbia di qualche fondo. Solo liquido interrogativo fluente dubbio. Ogni uomo è scisso dallo scafo che traversa l’acqua della sua temporalità. Persona sofferente. La vita liquidamente che ci viene incontro che ci strapiomba in basso con i flutti o ci solleva pesci con poco ossigeno è assurda. Ogni scelta produce un solo evento da vivere e molteplici plausibili, possibili, non-vissuti. Temo che la scelta s’accosti in ogni caso a qualche colpa. Come non provare angoscia se il vento mi rintrona consegnandomi dal cilindro al cuore foderato di velluto letterario e filosofico questa rivelazione! Come spiegarla a Regina! Come può accettare una ventata tanto crudele sul suo corpo necessitante di discostarsi dal mio!
La vita vivendola, anche nel matrimonio più felice confortato dai figli, la si annichilisce la si sfregia in qualcosa di inclemente che allontana dalla verità diventando falsa. Anche la felicità in coppia non reggerebbe all’oceano infinito che l’assedia. Dovrei vivere con Regina non una singola esistenza bensì molteplici. Amarla nell’infinito. Oltre un trovato orizzonte che dal porto si vede. Ma non lo si può superare. Sono così scontato negli esempi a me stesso che il vento sul cilindro mi strattona come uno scemo! L’infinito non è qualcosa che riguarda le creature sulla terra, tantomeno me e Regina. L’infinito è di Dio e ciascuno con o senza cilindro ventoso può capirlo.
Il minuto danese dalla camminata sgangherata sceglie di farsi riversare ogni vento di rimpianto addosso con la speranza di trovare un fondale quando s’immergerà nell’oceano. Una spiegazione. Consolazione. Salvezza dopo il gesto estremo compiuto per Dio. La Croce mia è questa. La mia nave. I chiodi piantandoli su di me li incuneo, anche se non voglio!, sulla figura dell’amata Regina. L’amore è questo: lo scafo della scelta separa quanto poi l’oceano del sentimento d’amore passata la poppa ricongiunge.
Questa fu, forse, la pagina fondante il Diario di Kierkegaard, della K danese; per certo è la mia di K svizzera. Guardo Fabio che dorme. Tremo. Mi sdraio vicino al suo bel corpo. Poso la testa sul suo petto. Dormendo, con automatismo che mi fa piangere, mi posa il braccio sulle spalle, mi carezza la testa bionda. Sulla quale fino a pochi minuti prima tenevo un cilindro ventoso.