Giovanni Boffa: "Il gorgo delle Lofoten che inghiotte Karoline"
olio su tela 100 x 120
Anche nell'annuario TELLUS 24/25
"Scritture Celesti - Poesie in cerca di Dio", 2003
Fabio Nardi
PRIMA POESIA di KK
Quella che Karoline Knabberchen, alla vigilia del suo suicidio alle Lofoten il 20 agosto 1985, chiamò “Prima poesia” è una lunga versificazione libera oscura balbettio d’ogni lingua che batte numero dopo numero nel dente sonoro dei generi senza regola alcuna compositiva influenzata dalla musica dodecafonica di Schomberg dove ogni suono ha medesima importanza senza centro tonale o espansione di senso melodico. Certi versi sembrano lapidi, elegie, aforistiche visioni, diario stracciato. Scorrendo “Prima poesia” la pelle del cuore tamburo vasto oceano accoglie Karoline ranocchietta Knabberchen saltellante. Sotto la superficie batte la testa per dirmi: Ti aspetto Fabio, questo è il mio suono non posso che raggiungerti dissonante nell’immensità dove m’annegai; avremo altra musica assieme altra parola altro disegno.
Karoline Knabberchen
PRIMA POESIA
1
La percezione
ai confini del suono bambina s’ammala.
2
Se a Guarda piove
la porta orientale della camera
accogliendo la luce d’agosto
cigola sui cardini. La sentinella
alla finestra socchiude gli occhi
dal letto ho vigilato le sue spalle
entrambi non riconosciamo
chi è entrato
che senso avrebbe fermarlo?
3
Dopo i quadri di Munch
non guarderò più dipinti.
C’è la teatralità del moderno che angustia
l’aneddotica psicoanalitica che riguarda ognuno
l’infernale leggenda della nascita della morte.
4
Il nostro mondo è “un insieme di rovine”,
scrive Schelling. Munch ha dipinto
il fuori e il dentro d’esse in noi.
In un mondo del non-Essere siffatto l’arte
per me finisce con Munch. Ma anche quest’arte
ha solo esistenza e non essere: è una determinazione.
Un puro nulla artistico paragonato all’Essere divino.
Munch mi racconta quanto il mondo sia copia sbiadita degradata
d’altro da raggiungere. Rovine del mondo divino da guardare.
Questa è l’angoscia che trasmettono non l’ottimistica consolazione
di scoprirci il vaninoloquio colorato d’un folle simbolista
curabile, lui-noi-voi, con pastiglie e analisi da lettino.
5
Rosario con fiori d’acqua legato al ritmo del respiro che s’annulla.
Respiro per respiro perso s’intendono le proprie labbra
parola dopo parola che non pronunciarono.
6
Padre datore della legge
piogge rapide ne cancellano l’enfasi nella cronaca.
7
Il fatto del sangue in circolo
risuona estraneo
cellule assorte
nel canto
nel gorgo
nel grembo
convincono il dèmone
che colà abita all’allegria del reietto simbolo
disdegnoso verso la sublime marginalità
d’ogni vita conseguenza della caduta biblica.
8
Felicità data dai ricordi involontari.
come allearsi con la luce.
Il reale contingente:
amore
viaggio
trascrizione poetica
mi danno verità
se accadono e già son ricordo
che senza volerlo m’accolgono
preghiera traccia di libertà
fuga dall’oscurità caotica.
Battito della palpebra di Dio
ricordo zucchero terreno sciolto
nel bene nell’ordine nella scelta d’amore.
9
Il panico delle isole affioranti forma e fumo.
Piego la fronte. Sera d’agosto.
Cosmo invidioso della marea.
10
Perdona il mio dolore
nel borgo dei pesci essiccati
dove m’avvolgo con viscere da mendica.
11
Si fa tardi per il velo
che mi tesso sul volto.
Più ne bagno con spavento
civetteria e levità
più s’allunga l’ombra
nell’ora creduta giovinezza.
12
Amore e dovere.
Sconta quale sole l’interno della conchiglia?
Quest’urna si concima con la metamorfosi
dell’eco da me udito immacolato.
13
L’orchidea disabitata dall’insetto
la paragono al villaggio ben conservato di Nusfiord.
L’industria peschiera florilegio per sociologia turistica.
Certe fotografie del mio fidanzato mi sembrano viscere pensanti
fiori nobili senza l’alato, pesci in rete senza la voce del pescatore.
Le straccerei tutte se potessi, se resistessi al pianto che ne avrei.
14
Il buio da botola sul mio capo biondo
è rotto dai palloni aerostatici colorati
che ad Andenes s’alzano sul confine del mondo.
15
Flakstadeya sabbia coda polverosa .
Nel pallido scafo del sonno contraddico la materia del caos
pareggio il bagliore dell’occhio oltremondano
nella regola di svegliarmi appena il pesce
destinato al corpo senza lische
mi chiede di recitare assieme il Pater Noster.
16
M’accalappiano di sera
i bestiari degli antichi isolani.
I guaiti, parole mai scritte,
ricamano un cervello pulsante scaglie.
17
Tutti i miei fratelli pesci
guardano la convulsa massa del monte Svolvaergeita
(tradotto capra di Svolvaer) che dispensa ombre
carpite alle grafie nell’acqua: cicatrici testarde
come ogni pensiero caprino. Ha pallore di cammeo
questa favola di roccia e acqua con me spettatrice.
Te l’appunto sul maglione rosso, mio capitano.
18
Di che colore sono le labbra d’una regina
nel catino delle Lofoten che irridono
i circhi glaciali del caos?
Il mistero aleatico con me fiaba cattiva
vendo nel villaggio di pescatori di Hamney.
19
Ogni ponte ti ruba gli occhi
se non guardi acqua e cielo assieme
sull’orizzonte. Dice la leggenda che invento.
Mi nasce il sangue al naso
sei invitato a guardarmi come sono:
con occhi perduti - sanguinante.
20
SCHELLING CIMA TINDEN
Lambita dal vento cresce la sterpaglia
sui monumenti dell’età della pietra
e del ferro – se ne svelli i pruriti mitologici
in allegria ti radichi nell’esercizio mortale.
Nel senso disperso
tra Libertà e Necessità
scheggio le unghie dove posò i guerrieri polsi
l’uomo non ancora individuo proiettato verso Dio.
Succhio le radici irrazionali del presente
redento dalla Croce, m’àncoro nell’oscuro fondo
del reale dove il bene, come in Dio, cerca
il superamento del male, per affermare la libertà.
Maestro Schelling se questo è il fondamento ultimo
della lezione per me in terra di Norvegia
le isole Lofoten nel tramonto con l’aspra cima Tinden
sono il mio passaggio ultimo nella dialettica.