FN: "KK penitente" - 1982
(part.)
Claudio Di Scalzo
KAROLINE A LUCCA NEL TEMPO NATALIZIO
(con sante e spine cristologiche delle filosofe ranocchie)
I
Vento s'alza condor sonnecchiante sulle nostre teste, ti muove
i capelli quasi fossi sospesa nell'acqua.
Dal giardino botanico giunge con tono risoluto il profumo, risale la
corrente in vortici frenetici, ed è dicembre. "Non senti anche tu la
rosa che ha deciso di sbocciare ora, piantata in terra come la spina sulla
fronte del Cristo?".
Karoline boccheggia dentro la folata. Ancora immagine d'acqua, mi
sembri un pesce: anch'esso è simbolo del Cristo, non è vero?, domando
baciandoti le ciglia che sanno di sale.
Giunta in via Fillungo ti mostri inquieta dentro lo stridere di corpi: si
scioglie l'intreccio della mani nella folla festaiola: ti perdo di
vista pochi secondi e ti scorgo pallida, bambina sperduta nel corpo
estraneo d'uno spavento che ti vuole appartenere.
"Sono qui, che! hai paura di smarrirti?"
Era l'invito a congiungere i nostri smarrimenti, quel fiato posato sul
mio collo, mentre mi stringevi forte per non cadere?
II
La parola è
gesso nell'animo delle ore.
Limacciose fosche movenze, in fila come insolite albe: stiracchio muscoli,
inaridita assenza di sonno.
Fuori popoli interi rischiano la loro presenza. Perché mi senti così
incongruente?, ingrediente fuori posto, raramente a proprio agio nel
rimescolio dell'impasto.
Sono, più che altro, volatile;
e il vento, lo sai, scricchiola tra le persiane.
Perché le cose, se le guardo io, paiono meno poetiche?, mentre ficcate
negli occhi di un altro - separato magari dalla poesia da continenti
interi- rende il loro racconto più 'vero'?
Io dove mi trovo, mentre tutto accade?
Mi merito d'esistere, cioè, io mi merito d'esistere nella
contemporaneità delle mie azioni - dicono i personaggi che
s'infittiscono dentro l'orizzonte.
Ecco dove sta la differenza. Essi lo affermano senza crederci, a volte
illudendosi che ciò appartenga loro non meno del diritto a muoversi nello
spazio intorno ignorando quasi completamente gli altri (a mano che questi
ultimi non intervengano a rimarcare la necessità di quel movimento, nel
Bene e nel Male);
io ribadisco il mio diritto senza scoccare mai nel centro del mio tiro. Ci
credo, ma devo provarlo a me stessa; e in questo lascio spazio a chi nel
suo derviscico movimento straniante non cerca nulla e tutto crede di
possedere.
Il pensiero è la mia frattura,
la parola il gesso. E non deve mai esserlo, ingessata.
III
Approdo certo nell'incerto pomeriggio lucchese, la chiesa di San
Frediano, con le sue porte aperte e la necessità delle fede, è richiamo
che estende la voce (molto più di te), e mi convince a scomparire dentro
il nero dell'entrata.
Qui sarai immediatamente fuori posto, fuori asse: certo mi lascerai
scivolare sul marmo dei gradini, nella stanza dedicata a Santa Zita,
completamente estraneo alla mia direzione. Oltretutto so che qui non mi
raggiungerai, tanto si terrorizza il chierichetto davanti al volto della
Santa, esposta nella bara di vetro.
-"È cera.", osservasti una volta, sfogliando nella memoria vaghe
lezioni di catechesi.
-"No. È mummificata, come Santa Chiara."
Da quella volta non t'avvicinasti più neppure alla pesante grata che
divide la navata dalla reliquia. M'attendi sempre di spalle, lungo la
navata opposta, soppesando l'inopportuna frivolezza della mia visita.
Santa Zita,
con te sono al sicuro: la mia fronte si erge nuovamente lucida e carnosa
come le foglie di magnolia lungo le mura, dietro la chiesa; qui potresti
scriverci come su una tavola i conti che tenevi a mente, quanto toglievi
al tuo umile stipendio per alleviare la fame dei poveri. Non lo hai
saputo, ma Dante nella sua Commedia identifica la città di Lucca con la
tua persona, pochi anni dopo la tua morte e prima della canonizzazione.
Fabio non capisce il perché di tanta devozione verso la serva della
famiglia Fatinelli:
-"Per esser santi bisogna avere il sangue che ribolle. Questa donna
era una mite benefattrice: se leggi la sua storia ti ricorderà
Cenerentola, ma senza ballo finale."
-"Il 27 aprile mi porterai alla commemorazione per la sua morte."
Gli rispondo per ripicca, perché ancora non intende la differenza tra
santità e martirio, e deve essere una protestante a ricordarglielo.
Lucca è splendente, ricamo di luci dentro le festività natalizie. Oggi
finisce l'anno, come dentro un imbuto, ma nulla è fuori posto:
distilleranno le strade, goccia dopo goccia, la nostra intromissione nel
nuovo ciclo. La festa appiattirà l'orizzonte, mentre noi condenseremo
nei fiati nuvolette bianche, come fumetti di un noir senza soluzione: ti
stringi nel cappotto e ti volti a carezzarmi gli zigomi col dorso della
mano, come fossi una cosa mai vista prima.
IV
Santa Zita, proteggi il respiro dentro il costato. Sono più lacero d'un
mendicante, e mentre fuori scoppia la festa le mie dita tornano analfabete
e si urtano nell'intessere sul petto il segno della croce.
Ho bisogno di questo laccio per essere libero: lei ordisce la mia libertà
come una Penelope di neve: fa' che non si sciolga con le prime luci
dell'anno che sta dietro l'angolo.
Intendi... Intendi dalle mie spalle da ciò che non vedi - eco sincopata di
passi, lei sta tornando!, me l'hai restituita o verrà e confesserà la
scelta di sparire dentro l'intarsio della fonte battesimale, al primo
rintocco sul volgere dell'anno?-, intendi da ciò che non oso (lacrime
come acqua santa): tuo dovere è salvare la mia piccola colomba, perché
quello che voglio non è ciò che basta.
La preghiera è una rinfusa di parole, intarsi e scanalature: ho imparato
dall'architettura religiosa toscana, e mi perdonerai se ho in testa il
colonnato a chiocciola della Torre pendente, e non il marmo delle figurine
scolpite sulla facciata di San Martino.
Strana preghiera la tua, Fabio. Dici stringendomi tra i palmi le guance.
Scortichi la devozione come un falegname che intagli croci e che poi ne
ricavi giocattoli.
Ma tu sei arrivata solo alla fine... Mi giustifico, come un bimbo che si
vergogni d'esser colto tra i suoi smarrimenti.
(da "Le età dell'angelo svizzero" - Canzoniere di Karoline Knabberchen" )