
Maurice Utrillo: Place du Tertre. 1934. Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.
Fabio Nardi
ASSIEME A KAROLINE KNABBERCHEN IN PLACE DU TERTRE
DI MAURICE UTRILLO. 1982. PARIGI.

Karoline Knabberchen: "Specchiata identità parlante".
1982, Parigi, Montmartre
Foto fabio Nardi
Giugno 2025. Fin da giovane presi a visitare musei e collezioni: che fossero a Firenze a Milano o soprattutto Parigi e Londra dove mio zio Lenino possedendo alberghi mi consentivano di stazionare. L’ho scritto più volte. Per rimarcare un debito e perché ci sono eventi famigliari che ti mettono sui binari: adatti. Con me c’erano figure amate. Anche disperatamente amate: come Karoline Knabberchen (Guarda Engadina Svizzera 10 aprile 1959 - 20 agosto 1984 Isola di Austvågøy Lofoten Norvegia), ed io ero Fabio Nardi.

(Giugno 1982, Parigi. A Karoline Knabberchen, assieme in “Place du Tertre” di Maurice Utrillo al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris) - Se ricorressi a qualche cascame teologico o addirittura a sceneggiatura fumetto con veicolazione nel fantasy, potrei affermare che nell’arte contemporanea, per la pittura, a inizio Novecento, a Parigi, avvennero due apparizioni di provvide figure demoniache inconsapevoli d’esserlo: una è quella del Doganiere Rousseau, che inventa la modellazione primitiva - selvaggiume che alla forma dona nuovo lume - e l’altra è quella dell’alcolizzato Utrillo figlio della valente pittrice Suzanne Valodon e di padre pittore banale tal Boissy. Patetiche e dolenti vicende tra alcolismo e redenzioni transitorie del pittore possono suggerire pagine romanzesche sul rapporto vita-arte; però può bastare sapere che il colore bianco accecante lattiginoso financo sporcato sulle tele venne appreso, da Utrillo, guardando per ore come veniva stesa la carcina sulle mura: abitazioni e mulini a vento. Indifferente, pertanto, in questa episodica indagine, che la tela sia del celebrato “Periodo bianco” o dei tempi seguenti al 1914; perché anche in seguito, con colori più vari e fioriture, rimane la Parigi di Montmartre, con le sue strette vie case basse cattedrale del Sacro Cuore e Place de Tertre che suggeriscono la domanda: Perché per tutta l’esistenza il pittore dipinge i luoghi ove ha vissuto e dove pure sta se ne è lontano in vecchiaia?
Tento la risposta, ch’è un giocarti in filosofia, in quella che tu Karoline studi, e perdona la sceneggiatura messa in atto, utilizzando Fichte.
Il filosofo argomenta, da qualche parte, non ricordo quale, l’ho letto in traduzione per tampinarti nei tuoi andirivieni, che i veri tedeschi debbono conservare la propria lingua e svilupparla. Mantenere le radici. Così sapranno difendersi incontrando altre lingue rapportandosi ad esse da pari: non venendone conquistati. Bel giochetto romantico perfetto. Della Heimat, casa/appartenenza ne ha elevato fondamenta pareti tetto Fichte prima di Heidegger; ma come funziona ciò in Utrillo per il suo “indigenismo” francioso sul cucuzzolo della Butte?
Semplice. Le strette vie innevate o fiorite primaverili di Montmartre, Place de Tertre, le cupole panna montata del Sacré Coeur sono la Lingua a cui appartiene e che rivela sulle tele. Stessi luoghi angoli spazi perché è lì che col colore parla. Quando ben presto, appena dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, tutto cambia, Utrillo continua a dipingere anche quanto non esiste più: gli stessi pittori son calati verso Montparnasse. La sua lingua non cederà al moderno avanzante, che tutto cangia, e che per lui è lingua straniera. Lingua straniera anche ogni variante delle avanguardie o dei ritorni all’ordine classicheggianti: e Surrealismi vari. Sono lingue che non hanno più origine nel luogo ove lui abita e quella che lui parla è scomparsa ma lui ancora la parla dipingendo perché così mantiene identità da sobrio da ubriaco.
Demone brillo nel perfetto assillo. Fino alla FINE.