Accio e Cardellino: Lido di Venezia giugno 2009
Accio e Cardellino
EPISTOLARIO PRIMO CON TE RIMO VARIO
(Maggio 2009, dieci anni dopo)
-Accio, finendo maggio sono passati dieci anni da quando ci scrivemmo e incontrammo la prima volta a Venezia. Ho riletto le nostre prime lettere, rivisto i disegni illustranti l’epistolario, che conservo. E tu?
-Io no! Sara… dipinti e poesie visive le affidai a te separandoci a Villa Malcontenta il 20 novembre 2011. I files e le mail li misi nella usb che lanciai a Frisbee in Serchio tornato a Vecchiano.
-Cosa?!... ma era, è un’opera intera… non è possibile abbia fatto questo?!
-… come no? Chiedilo alle tinche ai lucci…
-Ma perché perché?!
-Non ci vòle ir diproma per ‘apillo… se tutto glièra stato inventato amando per poi non strigne nulla… tanto valeva buttà tutto ar fiume sur fondale tra la ghiaia… tu-te n’andavi via Sara Earnshaw… Sara Esserino… che me ne facevo di poesie racconti dipinti?!
-Allora se non tornavo la Domenica delle Palme di due anni fa… se non conservavo quanto mi dedicasti quanto ideammo assieme … sarebbe andato tutto perduto?!...
-Capirai che danno!... non son Petrarca… Cardellino!... e sapevo che se tutto avresti ‘onservato niente di “nostro” avresti pubbriato mettendomi per carriera a lato…
-Separandomi da te smisi di scrivere poesia. Piuttosto che pubblicare qualcosa scritto in coppia avrei preferito mi si spezzasse il flauto traverso. In ogni caso eri e sei un selvatico… e nelle prime lettere lo scrivi senza giri di parole…
-Rispondevo, prima d’incontrarci a Venezia, alla signorina di buona famiglia musicista, come uno zingaro Heathcliff… m’innamorai al volo… tutto come romanzo fluisce e fumetto suggerisce e melodramma inasprisce…
-Quando vieni a giugno rileggiamo assieme alcune lettere… intanto scorri la poesia “Fammi il tuo pendente”… che ti mando… la calamita funzionò da subito anche per me…
EPISTOLARIO PRIMO
Epistolario primo. Dieci anni dopo.
(10 maggio 2009)
Sono una discendente della dinastia dei nobili Carraresi, ma dagli anni Quaranta del novecento la mia famiglia abita a Venezia. Ramo che ha necessitato nella madre nel padre di dedicarsi all’insegnamento della musica all’organizzazione di concerti alla Fenice. È bene sia andata così, perché serenissima mi sento, e d'acqua, di laguna.
Ma dove ciò accade, nella “mia” Venezia, te lo rivelo.
Sara ed Esserino, come hai preso a chiamarmi, deve attraversare Marghera: un attimo, il Petrolchimico è già scomparso. Ecco Fusina, un misero centro che guarda Venezia, da lontano, con soggezione. La mia meta è l'ultimo lembo di terra, un fazzoletto d'erba e cemento da cui immaginarsi lei, la Serenissima, aiutati dalle sole luci dei suoi antichi fasti che ancora pulsano in distanza. Questa è la mia Venezia, quasi indistinta, stanca, ma viva. Notte momento eletto: c'è silenzio, poche anime, e spesso resto l'ultima, da sola. Capita, all'improvviso, nel silenzio, un rumore di ferro e acqua solcata: chiatte arrugginite tornano verso le raffinerie e mi passano a pochi metri. La visione sembra frantumarsi, invece tutto è parte del quadro. Un quadro di marmi, metallo, cristalli, alghe, camini, di un bar abbandonato con vecchia insegna del telefono e le piastrelle azzurre che si intravedono dalle sbarre che lo imprigionano. Qui c'è l'imo e superno della vita. E qui torno sempre.
Oltre ho altro luogo privilegiato, dove corro ogni volta che gli spazi stretti mi soffocano o la mente pesante m’opprime. È la riviera delle ville, di Stra, Mira, Dolo, Malcontenta. Passano una dopo l'altra queste dimore magnifiche, silenziose, nobili. E c'è verde attorno e acqua, ancora.
Ti dono dei versi che a villa Malcontenta ho scritto…
Sara Esserino
FAMMI IL TUO PENDENTE
/
Cercavo riparo
dietro parole frantumate
- fiato caldo? -
ma nel bosco
di folate sorde
cado nella trappola
di resina cristallo.
Fammi il tuo pendente:
il fremito del petto
la voce fiamma
sapranno liberarmi.
Sara Esserino in rosso viola nero - foto Accio - giugno 2009, Venezia.
ACCIO
TIP TAP DI PALPEBRE CONTENTE
(11 maggio 2009) - Sara-Esserino… questa poesia è uno di quei doni che fanno battere di contentezza le palpebre nella notte che viene. Guardo meglio nel buio che ho attorno con una poesia così letta alla luce della lampada minacciata da moscerini suicidi. Il fato dev’essere bendisposto verso Accio o forse mi sta tirando un tiro mancino. Devo meditarci. Per ringraziarti e per accontentare le palpebre dovrei scrivere qualcosa che possa starci accanto senza sfigurare. Magari prima che venga luglio tento. Adesso la trascrivo. Parola per parola verso per verso con la penna stilografica della prima comunione. Poi piego il foglio. Me la metto nel taschino della camicia. E la porto con me anche quando supererò i limiti di velocità sulla Genova-Pisa. Sarà talismano adatto. Poi arrivato sul Serchio, alla foce, prima di staccare la barca per raggiungere l’altra sponda e poi pescare, al largo, leggerò i tuoi versi. La sera e la notte sarà lunga in mare. E fredda. Questa poesia è la mia riserva di dolcezza, mi ricorderà di non concedermi troppo alla leggenda scema di Accio, in vino da bere, storie anche piccanti da raccontare, crudeltà da compiere perché sempre si tratta di uccidere quando si va a caccia di frodo. Dopo la pesca delle orate che sembra innocua, la boscaglia è un’altra cosa. Tu ci stai da metafisica io con il selvaggiume che ti cerca. E che gli uomini chiamano bestia, ma quale?, in innamoro.