Mia madre soprano che si dilettava, ma in realtà avrebbe voluto ricavarne ruolo, in canto per amici e serate benefiche, aveva alta ammirazione per Gundula Janowitz. Questa soprano venne scoperta e condotta al successo internazionale a Salisburgo da Karajan. Che le fece abbandonare il repertorio leggero delle varie Pamine Mimì Marcelline. Volgendola verso ruoli lirici importanti, come in una insuperabile Sieglinde nel Ring karajaniano: e nella Nona Sinfonia di Beethoven.
Con facile psicologia appena grandicella cominciai a pensare che questa ammirazione nascondesse la sua frustrazione di soprano mediocre. Un giorno sfibrata da snervanti lezioni di flauto e pianoforte, tornata a casa, costretta ad ascoltare i prodigi della Gundula su disco, proruppi in qualche offesa verso la cantante di casa. Forse dissi: “tanto non sarai mai come lei!: ci vuole talento: ci vuole Karajan!”.
L’odio negli occhi di una madre così intenso verso la sventata figlia ancora lo ricordo ancora ne brividisco.
Seppi in quell’attimo che avrebbe brigato per rendermi mediocre interprete non risparmiandomi nessuno fatica per fallire.
Mi ricordo che ascoltando nei giorni seguenti, Solitudine, Einsamkeit, dalla Winterreise di Schubert, pensai che era iniziato il mio viaggio invernale: che a cacciarmi verso il gelo era stata una amante-madre.
Il freddo, anche nel mio corpo, tanto grazioso e anche “bramato” come dici tu, virgineo, si è sciolto nel maggio 2009 incontrandoti come Maestro delle Onde, sul mare caldo pisano, Claudio. Il gelo in me è tornato nella solitudine da sposata non a te, dopo che ti lasciai nel novembre 2011. (clikka: Separazione 20 Novembre 2011... )
Tu scrivi e mi dici che ti ho salvato quando eri in pericolo la Domenica delle palme, aprile del 2017: ma venendo ancora ad abbracciarti salvavo anche me: dal freddo che mi faceva morire.
Prendi questa confessione a Capodanno, Claudio, custodiscila.